Corriere di Arezzo

Sono i live a salvare un artista, non il web Ernia il rapper che ama Tolkien e Baudelaire

- Giovanni Dozzini

C’era un tempo in cui Ernia suonava anche per le sedie. Era il tempo della gavetta, anche se parlare al passato di gavetta per un ragazzo di ventiquatt­ro anni pare curioso. In realtà il mondo del rap è così: si comincia prestissim­o, si va avanti chissà fino a quando. Ernia, che all’anagrafe si chiama Matteo Profession­e, oggi è di sicuro uno dei rapper più popolari del nostro Paese. Il suo ultimo disco, Come uccidere un usignolo/67, ha fatto il botto, per diffusione e vendite, e il tour con cui lo sta portando in giro e che sabato farà tappa anche all’urban di Perugia è poco meno che trionfale. Lui a raccontarl­o non si scompone più di tanto, tira fuori la storia delle sedie e della gavetta, ma ammette che il successo di pubblico è andato oltre le aspettativ­e. E questo, spiega, nonostante l’accoglienz­a eccellente già riservata al disco. Di sicuro, e lo sanno tutti, la dimensione live per Ernia è fondamenta­le. “Sì, è molto importante. È quella a cui tengo di più. Ci sono molti altri artisti, soprattutt­o quelli più giovani, che la sottovalut­ano. Puntano tutto sul web, vogliono solo fare più view possibili on-line, poi finiscono per offrire show appena accettabil­i, se non addirittur­a mediocri. Eppure, anche a volerne fare un fatto molto pragmatico, il live è il nostro lavoro: è da lì che entrano i soldi veri. E puoi avere tutte le visualizza­zioni sul web che vuoi, ma se dal vivo non funzioni alla lunga la paghi. La prima volta ti vengono a vedere in tanti, la seconda in pochi, la terza non ci viene più nessuno. Si sparge la voce: quello sul palco non va bene, ascoltiamo­lo in cuffia e buonanotte”.

Non tutti ragioneran­no così, però.

“No, c’è gente che per esempio on-line magari non sfonda, tipo Mecna. Ma se poi vai a vedere un suo concerto rimani a bocca aperta. Infatti fa tutti sold-out”.

In quanti siete sul palco, nei tuoi show?

“Solo io e il dj. Nessun altro. Regge tutto il mio fiato. Un vero oneman-show”.

Sulle basi tu non metti bocca per niente?

“Non è il mio mestiere, ci pensano i produttori. Però spesso mentre ci lavorano io sto lì, un po’ di supervisio­ne la faccio”.

Il tuo mestiere è scrivere, ed è risaputo che nei tuoi testi finiscono anche le letture che fai.

“Sì, mi piace molto leggere, mi piace molto la letteratur­a. Il titolo del mio disco viene dal titolo originale del Buio oltre la siepe di Harper Lee, che è To Kill a Mockingbir­d. E poi le ultime tracce si ispirano a Baudelaire. Tuttavia non posso dire che ci sia un collegamen­to diretto tra libri e testi. Lavoro più che altro per suggestion­i in cui mi imbatto leggendo questa o quella cosa. E non tutta la letteratur­a che mi piace finisce nelle mie canzoni. Per esempio sono un grande appassiona­to di Tolkien, ma dubito che parlerò mai del Signore degli Anelli in un pezzo”.

La tua popolarità, specie tra i giovanissi­mi, è notevole. Senti la responsabi­lità di essere ascoltato da tanti ragazzi?

“Sì, la sento eccome. E sto cercando di rimuoverla. A volte ho sentito veramente il peso del mondo sulle spalle, e non va bene. Non è così, non deve essere così. Ho ventiquatt­ro anni, non posso pensare di salvare il mondo. Anche perché altrimenti i miei pezzi diventeran­no troppo pensati, troppo studiati. Perché siano belli io devo scrivere per me. Altrimenti non andiamo da nessuna parte. A salvare il mondo devono pensare altri. Il presidente degli Stati Uniti, per esempio. Non questo, certo. Magari il prossimo”.

In Come uccidere un usignolo/67 hai collaborat­o con molti altri artisti della scena rap. Con chi ti piacerebbe lavorare nel prossimo disco?

“Ci stavo pensando giusto ieri: qualcuno di molto diverso da me, magari di diametralm­ente opposto, tipo Sfera Ebbasta. Con lui si potrebbe fare qualcosa di nuovo, non io che faccio le sue cose o lui che fa le mie, ma qualcosa di originale. È lì il gioco, è lì il divertimen­to. A stare solo con quelli che ti somigliano non può esserci evoluzione”.

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Il nuovo idolo del rap Ernia, all’anagrafe Matteo Profession­e, ha 24 anni e un pubblico oltre le aspettativ­e Domani sul palco dell’urban a Perugia

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