Infermieri presi a pedate
Indagine sul pronto soccorso di Arezzo, l’84% degli operatori sanitari denuncia aggressioni
▶ AREZZO Infermieri presi a pedate. Vittime di aggressioni fisiche e verbali. Accade con preoccupante regolarità al pronto soccorso dell’ospedale di Arezzo e degli altri ospedali della regione. Uno studio realizzato dall’ordine delle Professioni Infermieristiche di Arezzo, condotto da tre infermieri aretini - Serena Gabbrielli, Laura Picchioni e Ferdinando Testa - offre cife che parlano da sole: su un campione di 287 infermieri, l'84 per cento ha affermato di essere stato aggredito verbalmente negli ultimi 12 mesi. Il 46 per cento degli infermieri ha affermato di aver subito aggressioni verbali da 2 a 5 volte negli ultimi 12 mesi. Il 18 per cento del personale infermieristico è stato aggredito fisicamente negli ultimi 12 mesi. I motivi di tanta acredine e violenza: le lunghe attese che creano esasperazione. Ma al pronto soccorso transitano anche soggetti difficili, con problemi legati all’alcol e alla droga.
Studio di tre aretini getta luce sulle difficoltà in cui si opera nell’enmergenza ospedaliera
▶ AREZZO - Gli operatori sanitari sono tra le categorie più esposte a violenza sul luogo di lavoro. In prima linea ci sono gli infermieri del Pronto Soccorso, che più frequentemente si trovano a gestire rapporti caratterizzati da forte emotività, frustrazione e perdita del controllo da parte dell'utenza. Spesso gli infermieri temono che l'episodio di violenza venga giudicato come indicatore di scarsa professionalità, assumendosi il rischio dell'aggressione come rischio professionale e accettando così il fenomeno passivamente. Un gruppo di lavoro formato da tre iscritti all' Ordine delle Professioni Infermieristiche di Arezzo, Serena Gabbrielli, Laura Picchioni e Ferdinando Testa, ha analizzato l'attuale situazione in alcuni dei maggiori Pronto Soccorso della Regione Toscana, quelli con almeno 25.000 accessi annui, tra agosto 2015 e febbraio 2016, tra i quali quello della Gruccia in Valdarno e il San Donato di Arezzo. Su un campione di 287 infermieri, l'84% ha affermato di essere stato aggredito verbalmente negli ultimi 12 mesi. L'aggressione è stata subita in egual misura sia dal personale femminile che maschile, specialmente se in età compresa tra 30 e 40 anni. Inoltre il 46% degli infermieri ha affermato di aver subito aggressioni verbali da 2 a 5 volte negli ultimi 12 mesi. Il 18% del personale infermieristico è stato invece aggredito fisicamente negli ultimi 12 mesi. Il 65% degli infermieri aggrediti fisicamente, con spintoni e calci, ha subito violenza fisica almeno una volta nell'ultimo anno. Ad aggredire sono principalmente parenti e accompagnatori italiani (51%) o stranieri (49%) di sesso maschile (91%), con età tra i 30-40 anni (47%). Le cause scatenanti l'aggressione sono da imputare nella maggior parte dei casi all'influenza di alcol e droga e ai prolungati tempi di attesa. "L' ingresso di una persona in Pronto Soccorso - affermano gli autori della ricerca - rappresenta di per sé un evento altamente stressogeno: per il paziente, i familiari e il personale sanitario tutto. Spesso la necessità di intervenire celermente, la paura e il bisogno di risposte può portare all'innescarsi di azioni violente. L'atto violento non è però mai giustificabile e non è mai il frutto di una sola colpa. La violenza fisica e verbale non può però essere considerata un semplice evento da prevenire o un semplice rischio professionale. Questa lascia infatti tracce difficili da dimenticare, determinando oltre che terrore, anche demotivazione professionale, rabbia e senso di abbandono. È inoltre limitativo pensare che le conseguenze colpiscano solo i protagonisti dell'accaduto. Anche gli altri lavoratori, gli utenti e più in generale il sistema sanitario, soffrono delle conseguenze delle violenza. Per contrastare questo fenomeno occorre agire sulla prevenzione e sull'informazione. La corretta azione gestionale, la formazione del personale, lo studio del fenomeno e la modifica dell'ambiente sono elementi principali su cui intervenire per far sì che i comportamenti e gli ambienti dove vengono erogate le prestazioni di ascolto, cura ed assistenza, siano il più possibile idonei a garantire sicurezza. È infatti solo con l'integrazione di un sistema completo di prevenzione che è possibile riconoscere la gravità del fenomeno e di conseguenza ridurlo", concludono Serena Gabbrielli, Laura Picchioni e Ferdinando Testa. ▶