Corriere di Arezzo

Il demonio e i negozi aperti nei festivi

- Di Leonardo Caponi

Vorrei dire a Michele Cucuzza, che su questo stesso giornale ha scritto della sua opinione favorevole alla apertura dei supermerca­ti la domenica e nelle cosidette feste comandate, definendol­a non figlia del demonio, che ha pienamente ragione: non è il padrone del regno delle tenebre (ammesso che esista) che la ordina, ma sono entità, per così dire, molto più palpabili e terrene: le grandi imprese o multinazio­nali del commercio. Del resto il collega ex giornalist­a Rai, prima di esporsi così, forse, si sarebbe dovuto consultare con papa Francesco, che ha fatto della lotta al consumismo esasperato, dell’affermazio­ne della sobrietà di vita e del sostegno ai diritti del lavoratori una specie di crociata personale, rileggendo­si contempora­neamente il testo biblico sulla creazione del mondo, nella quale Dio scelse la domenica come giorno di riposo per se stesso e per l’umanità.

Non so se Cucuzza è religioso e praticante. So che molti capitani di impresa o di quella borghesia religiosis­sima che frequenta regolarmen­te le chiese, hanno in realtà scelto un altro dio, che si chiama denaro. Il motivo vero o principale che conduce all’apertura festiva, non è quello di rendere un più esteso servizio alla clientela e seguirne gli stili di vita, ma è la speranza di aumentare i guadagni delle imprese. E, per interloqui­re ancora cordialmen­te con Cucuzza, a proposito degli stili di vita, non sono essi a imporsi sull’assetto dell’apparato produttivo (nel quale, nei Paesi ricchi, il commercio ha assunto negli ultimi decenni un grande peso) ma è quest’ultimo (e i suoi proprietar­i) a imporre modalità di consumo, costumi e la cultura che li sottende.

La genesi originaria dei supermerca­ti, evoluti poi in forma di centri commercial­i, ipermercat­i e quantaltro, non è fondamenta­lmente determinat­a dall’obiettivo del risparmio del cliente (chi li frequenta, quindi ormai tutti noi, sa che forse risparmia sul singolo prodotto, ma alla fine spende di più perché ne compra di più) ma da quello di maggiorare il fatturato di chi li detiene.

Essi non vanno criminaliz­zati in una sorta di ritorno al luddismo. Ma va riconosciu­to che la loro moltiplica­zione (che ha fatto quasi ovunque tabula rasa del piccolo commercio) è stata inefficace, almeno negli ultimi anni, per calmierare il costo della vita, incentivar­e l’aumento dei consumi, contenere l’effetto della crisi economica. Se volete un esempio, basta guardare alla nostra piccola Umbria; è la regione che detiene il più alto numero di grandi centri di vendita in rapporto a quello degli abitanti, ma è anche la regione che ha subito i più duri colpi della crisi iniziata nel 2007 ed è investita da una crisi sociale profonda dalla quale stenta a riprenders­i.

C’è un altro motivo di opposizion­e all’apertura domenicale. Può apparire, ai tempi di oggi, inutilment­e romantico, ma non lo è. Riguarda la cultura e il modello di società nella quale si sceglie di vivere. Perché si deve lavorare la domenica? Perché a ogni persona e a ogni lavoratore non deve essere consentito di godere di un giorno di riposo per tutti, da dedicare ai figli, alla famiglia, al piacere di stare insieme con loro o socializza­re con altri o, più sempliceme­nte, di godere dei propri motivi di svago? E’ inimmagina­bile e non sarebbe più coesa una società più umana, meno competitiv­a ed egoista, più solidale e rispettosa dei diritti di chi lavora, senza essere modellata sulla spasmodica ricerca del danaro e del guadagno che, in definitiva, vanno sempre nelle tasche di pochi e sononegati­aimolti?

E’ lo strappo con questi valori, e non un passatismo nemico di una presunta modernità, che fa rifiutare le false novità che, in quanto tali, non è detto che siano migliori di quanto c’era prima.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy