Proietti: «Il mio meglio Senza copione»
Domani e giovedì Proietti sarà protagonista di uno spettacolo che alterna parti recitate a parti cantate con l’accompagnamento di un gruppo musicale diretto da Mario Vicari, degli attori Marco Simeoli e Claudio Pallottini e delle figlie dell’artista, Susa
Eduardo De Filippo quando andava ai suoi spettacoli gli esclamava «Sei stato grande, Gigi!». Fellini, che gli insegnò il significato autentico della leggerezza, lo chiamava Gigiaccio e quando poteva correva a vederlo e tornava bambino. Anche l’operaio, la casalinga, l’impiegato non mancavano mai e si alzavano in piedi spellandosi le mani in lunghissime standing ovation, come usiamo dire oggi. Gigi Proietti ringraziava. Sempre. Nei primi anni, a dire il vero, con un pudore — «non ci credevo nemmeno io di riempire tutti quei posti» —, diventato col tempo consapevolezza e orgoglio. L’attore romano, dopo l’influenza che lo aveva costretto a rimandare le date dello scorso maggio, è di nuovo in forma e domani e giovedì è atteso al Teatro Europauditorium con Cavalli di battaglia, uno spettacolo che raccoglie i suoi pezzi storici a partire da A me gli occhi, please, lo one man show che è stato una sorta di spartiacque della sua carriera (ore 21, info 051/372540). Proietti, che gli impegni tra cinema e fiction (l’ultima, Una pallottola nel cuore su Rai Uno) lo avevano tenuto lontano dai palcoscenici per tre anni, in scena recita e canta, accompagnato da un gruppo musicale diretto da Mario Vicari, dagli attori Marco Simeoli, Claudio Pallottini (suoi ex allievi) e le figlie Susanna e Carlotta.
Non sarà stato facile, signor Proietti, scegliere i cavalli di battaglia in oltre cinquant’anni di carriera.
«La scrematura è stata tosta. Se avessi dovuto stare più largo avrei fatto uno spettacolo di due o tre giorni. Invece arriviamo a due ore e mezzo. Aggiungo: circa. Perché dipende anche dal pubblico. Se vuole, si andrà ancora avanti».
Quindi nessun copione rigido, come piace a lei?
«Esattamente. Darò spazio all’improvvisazione».
Alcuni suoi pezzi però il pubblico li pretende.
«E io glieli darò. Non posso, e nemmeno voglio, prescindere dai personaggi alla Petrolini, dagli scioglilingua, da certe canzoni, canzonacce, cose serie e farse come quella della Signora delle Camelie, che pare sia molto cliccata in Internet. Però so che è quando non esiste il copione rigido che possono nascere le cose nuove. Il personaggio di Toto prese vita in scena e scriverlo è impossibile».
Toto, raro esempio di vittima della sauna, anzi, dalla saùna.
«Detto fra noi, gli sono affezionatissimo».
Cinquant’anni e più di carriera come sono passati?
«Più che passati sono volati. Festeggi 50 anni e ti trovi al 51esimo. Sono volati senza mai fare calcoli. Non li ho mai saputi fare. E questa è una festa e una rimpatriata. Per questo nello spettacolo sono voluto partire da A me gli occhi please, lo spettacolo che ha cambiato la mia carriera».
Lo spettacolo debuttò nel 1976 e aprì la strada agli one man show, ma lei e Roberto Lerici, che lo aveva scritto, sulle prime non ci credevate più di tanto...
«Macché, avevo una paura di non riempire il Teatro Tenda a Roma... lo avevo pure lasciato per un po’. Però, come si sa, andò benissimo e fu un grande cambiamento non solo per me, che iniziai a contaminare tanti generi, ma per i giovani che mi seguivano. Capivano che era possibile fare teatro anche con pochi soldi. Bastava una tenda. Fu importante anche perché passò un certo tipo di politica teatrale».
E qui entra il capitolo di Proietti insegnante.
«In fondo non l’ho mai abbandonato. Ancora oggi i giovani per me sono fondamentali e loro me lo dimostrano affollando il Globe Theatre che dirigo a Roma, dove facciamo solo Shakespeare. Funziona anche perché i prezzi sono bassissimi».
Domanda di politica culturale, allora: in poche parole cosa ci vuole per risolvere la crisi culturale in Italia?
«Serve tutto. Ma se non hai le idee che spettacoli fai?».
Che effetto fa recitare con le sue figlie?
«All’inizio è stato imbarazzante. Ora scherziamo sempre».
Il suo grande amore è il teatro, ma il primo fu la musica.
«Mi divertivo, guadagnavo un po’ e mi pagavo gli studi. Mai creduto però in una carriera di cantante».
Neanche in quella di avvocato o giudice, se è per questo.
«Già. Non riuscii a laurearmi in Giurisprudenza. Non faceva per me. Ma se tornassi indietro forse farei Lettere».
Le fa piacere o la disturba il fatto che molti verranno a vederla a teatro perché conoscono Il maresciallo Rocca?
«Mi fa piacere! Poi magari scoprono anche Fregoli».
Per lei, attore fisico, cos’è la fisicità?
«Un modo imprescindibile per conoscersi. Se usi il tuo corpo nel modo giusto puoi essere anche piccolino con la pancetta».
A conti fatti cosa pensa in questo momento?
«Penso che rifarei tutto e di più».
Non riuscii a laurearmi in legge Se tornassi indietro farei Lettere