Ikea, braccio di ferro sul taglio ai festivi
Tra i lavoratori di Casalecchio, pronti allo sciopero: «L’azienda ignora i nostri diritti»
Erano un’élite, ora sono sotto attacco. I seimila dipendenti di Ikea in tutta Italia sono in stato di agitazione perché il colosso mondiale dell’arredamento ha annunciato la disdetta del contratto integrativo: niente più maggiorazione salariale per i festivi, stop a premi produzione e aziendali. I sindacati hanno annunciato 16 ore di sciopero: 8 a livello nazionale e 8 da concordare sui territori. Problemi, dunque, potrebbero esserci con le aperture nelle settimane a venire, visto che la dichiarazione dello stato di agitazione esula i sindacati dal dover comunicare la data scelta. Sarà sciopero a sorpresa e i sindacati sono sul piede di guerra.
Tra i 250 lavoratori di Casalecchio di Reno la rabbia è tanta. La notizia è arrivata alla vigilia di un weekend che, con il ponte del 2 giugno, ha visto assembrarsi tra cucine e camere da letto più clienti del solito. «Non mi sono mai lamentato di dover lavorare anche la domenica — sbotta un dipendente del magazzino — proprio perché l’integrativo del festivo è necessario per arrotondare, soprattutto per chi è assunto part-time. Ma adesso l’azienda fa cassa ignorando i nostri diritti» La contrattazione per il rinnovo dell’integrativo doveva partire l’anno scorso, ma l’azienda ha preso tempo in attesa dell’insediamento del nuovo amministratore delegato Belen Frau. E la settimana scorsa ha comunicato la disdetta del contratto integrativo, che partirebbe da settembre e, secondo i sindacati, significherebbe il 18-20% in meno sullo stipendio.
«È un ricatto — sostiene Miriam Planesio, delegata Rsu della Cgil e addetta nel settore Food & beverage a Casalecchio — per l’amministratore delegato quelle tre voci dell’integrativo sono privilegi, per noi sono diritti acquisiti in 25 anni di contrattazione». Anni in cui, tra l’altro, il colosso svedese dell’arredamento non ha dovuto vedersela con le resistenze dei sindacati alle aperture festive, come ad esempio succede nella grande distribuzione organizzata. I negozi di Ikea Italia, infatti, sono sempre chiusi il primo gennaio, il 25 aprile, il primo maggio, a Pasqua e Pasquetta, a Ferragosto, a Natale e a Santo Stefano. «L’azienda non ha mai forzato la mano su quest’argomento — spiega ancora Planesio — anche per questo noi lavoratori ci siamo sempre sentiti un’élite». Adesso però Ikea mette le mani direttamente nelle tasche dei suoi dipendenti. La maggiorazione per il festivo consiste nel 130% in più dell’ora lavorata, ma solo per il 9% dei dipendenti assunti prima del 2000. Per tutti gli altri va dal 35 a un massimo del 70% in più su una retribuzione che non supera i 7 euro netti all’ora.
L’esigenza di tagliare non deriva da un vero e proprio disavanzo nei bilanci. Riguarda piuttosto le prospettive di crescita. «Ikea è come una donna sempre incinta — spiega la delegata sindacale — per crescere ha bisogno sempre di nuove aperture e nei prossimi 10 anni ne sono previste 10 in Italia. Ma i costi delle aperture devono essere ripagati dai guadagni del gruppo sul territorio nazionale. Anche se Ikea Italia non è in perdita, non sta comunque crescendo tanto da poter sostenere i costi di queste nuove dieci aperture».