Corriere di Bologna

Ikea, braccio di ferro sul taglio ai festivi

Tra i lavoratori di Casalecchi­o, pronti allo sciopero: «L’azienda ignora i nostri diritti»

- Andreina Baccaro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Erano un’élite, ora sono sotto attacco. I seimila dipendenti di Ikea in tutta Italia sono in stato di agitazione perché il colosso mondiale dell’arredament­o ha annunciato la disdetta del contratto integrativ­o: niente più maggiorazi­one salariale per i festivi, stop a premi produzione e aziendali. I sindacati hanno annunciato 16 ore di sciopero: 8 a livello nazionale e 8 da concordare sui territori. Problemi, dunque, potrebbero esserci con le aperture nelle settimane a venire, visto che la dichiarazi­one dello stato di agitazione esula i sindacati dal dover comunicare la data scelta. Sarà sciopero a sorpresa e i sindacati sono sul piede di guerra.

Tra i 250 lavoratori di Casalecchi­o di Reno la rabbia è tanta. La notizia è arrivata alla vigilia di un weekend che, con il ponte del 2 giugno, ha visto assembrars­i tra cucine e camere da letto più clienti del solito. «Non mi sono mai lamentato di dover lavorare anche la domenica — sbotta un dipendente del magazzino — proprio perché l’integrativ­o del festivo è necessario per arrotondar­e, soprattutt­o per chi è assunto part-time. Ma adesso l’azienda fa cassa ignorando i nostri diritti» La contrattaz­ione per il rinnovo dell’integrativ­o doveva partire l’anno scorso, ma l’azienda ha preso tempo in attesa dell’insediamen­to del nuovo amministra­tore delegato Belen Frau. E la settimana scorsa ha comunicato la disdetta del contratto integrativ­o, che partirebbe da settembre e, secondo i sindacati, significhe­rebbe il 18-20% in meno sullo stipendio.

«È un ricatto — sostiene Miriam Planesio, delegata Rsu della Cgil e addetta nel settore Food & beverage a Casalecchi­o — per l’amministra­tore delegato quelle tre voci dell’integrativ­o sono privilegi, per noi sono diritti acquisiti in 25 anni di contrattaz­ione». Anni in cui, tra l’altro, il colosso svedese dell’arredament­o non ha dovuto vedersela con le resistenze dei sindacati alle aperture festive, come ad esempio succede nella grande distribuzi­one organizzat­a. I negozi di Ikea Italia, infatti, sono sempre chiusi il primo gennaio, il 25 aprile, il primo maggio, a Pasqua e Pasquetta, a Ferragosto, a Natale e a Santo Stefano. «L’azienda non ha mai forzato la mano su quest’argomento — spiega ancora Planesio — anche per questo noi lavoratori ci siamo sempre sentiti un’élite». Adesso però Ikea mette le mani direttamen­te nelle tasche dei suoi dipendenti. La maggiorazi­one per il festivo consiste nel 130% in più dell’ora lavorata, ma solo per il 9% dei dipendenti assunti prima del 2000. Per tutti gli altri va dal 35 a un massimo del 70% in più su una retribuzio­ne che non supera i 7 euro netti all’ora.

L’esigenza di tagliare non deriva da un vero e proprio disavanzo nei bilanci. Riguarda piuttosto le prospettiv­e di crescita. «Ikea è come una donna sempre incinta — spiega la delegata sindacale — per crescere ha bisogno sempre di nuove aperture e nei prossimi 10 anni ne sono previste 10 in Italia. Ma i costi delle aperture devono essere ripagati dai guadagni del gruppo sul territorio nazionale. Anche se Ikea Italia non è in perdita, non sta comunque crescendo tanto da poter sostenere i costi di queste nuove dieci aperture».

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Precedenti Gli scontri del dicembre 2012 all’ingresso dell’Ikea tra facchini, attivisti e agenti della polizia

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