Dopo Caffarra, la meditata calma di Bergoglio
Stupisce lo stupore di qualcuno in città per il mancato avvicendamento del nostro arcivescovo. Ma come, dicono a voce alta ma più spesso sussurrata, Caffarra non se ne doveva andare l’altro ieri, giorno del suo settantasettesimo compleanno? E così si mescolano superficialità di fondo e scarso rispetto per una istituzione secolare come la Chiesa, abituata a gestire con prudenza i suoi passi più importanti.
Se aggiungiamo che quasi sicuramente neppure il cardinale è al corrente del suo momento di uscita dalla diocesi, mettiamo il punto — ci auguriamo chiaro e ben comprensibile — su una successione che è inevitabile, che l’arcivescovo desidera pur nella piena disponibilità ad accettare i tempi del Papa, che non c’è nessun candidato certo.
Leterne o sedicenti tali fatte circolare sono validi argomenti per il mercato degli allenatori di calcio, non certo per i princìpi della Chiesa. Riepiloghiamo. Caffarra due anni abbondanti fa ha rimesso l’incarico nelle mani di Francesco, come impongono le norme canoniche al compimento dei 75 anni. Il Papa argentino, allora sul soglio di Pietro da meno di tre mesi, con una lettera della Nunziatura apostolica in Italia manifestò la volontà che il cardinale continuasse «ancora per due anni il suo ministero episcopale a Bologna».
Sembrava, allora, un termine perentorio, ma fu poi informalmente chiarito che non lo era. Del resto, fra i 75 e gli 80 anni (età che preclude la partecipazione a un eventuale Conclave) l’oscillazione dei ricambi nelle diocesi è sempre stata vasta. Giovanni Paolo II era «di manica larga», papa Ratzinger è stato più decisionista. Molto è sempre dipeso dalla volontà degli interessati. Il cardinale Giacomo Biffi ha pressato a lungo Wojtyla per andarsene dalla diocesi presto; Giuseppe Siri con il Papa polacco è rimasto a Genova fino a 80 anni inoltrati, soleva dire: «Un vescovo è come un padre; e i padri non si dimettono». Di recente il tedesco Joachim Meisner, arcivescovo di Berlino prima e di Colonia poi ha sfiorato gli 81 anni, magari anche per la singolare circostanza di essere nato il giorno di Natale!
Conti alla mano, il successore di Caffarra può essere rivelato oggi, domani, fra una settimana o un mese o di più. La cosiddetta preconizzazione, periodo entro il quale deve avvenire la presa di possesso canonico della diocesi, varia da un massimo di due mesi, se il designato è già vescovo, a tre mesi, se non lo è. Tutt’altro che improbabile, dunque, che l’arcivescovo trascorra in via Altabella una parte dell’estate.
Quanto al nome, uscirà direttamente dalla testa di papa Francesco. L’iter procedurale delle varie consultazioni si è esaurito da tempo, ma la diocesi di Bologna ha un peso rilevante nella Chiesa: per la sua millenaria storia, per la grandezza degli arcivescovo che si sono succeduti a cavallo della guerra e dopo (da Giovanni Battista Nasalli Rocca a Giacomo Lercaro, da Antonio Poma a Biffi a Caffarra), e — perché no? — per il colossale lascito Faac che fa di Bologna una delle diocesi potenzialmente più ricche del mondo. Peso rilevante, aggiungiamo, per il ruolo che questa città — pur nella quasi ininterrotta amministrazione di sinistra — ha svolto nei sussulti e/o nelle decise prese di posizioni ecclesiali all’interno di una Chiesa cattolica che difficilmente può rinunciare ad avere qui un arcivescovo di peso. Ed è con ogni probabilità su questa considerazione di fondo che il Papa argentino medita con calma la decisione.