Le Social street tra successi e rabbia
Spopola il modello Fondazza. Altre diventano poco più di uno sfogatoio online
Via Fondazza incoronata dal New York Times e premiata dall’amministrazione è assurta a modello di socialità. Ma resta molto difficile per le altre Social street emularla. Viaggio tra le «strade 2.0» di Bologna, che spesso si limitano a segnalare episodi di degrado o soccombono tra l’ignavia dei residenti e l’ambizione di allargare la partecipazione a più zone. La sociologa Pasqualini (Cattolica): «Serve un amministratore che alimenti la partecipazione, altrimenti fanno flop».
In attesa della consegna della Turrita d’argento alle Social street si terrà a ottobre e dopo l’articolo del New York Times che ha incoronato la primigenia Via Fondazza come un esperimento sociale riuscito, è arrivato il momento di guardare il fenomeno nel suo insieme, di capire come si sta evolvendo in città. Come sottolineato dal fondatore del movimento Federico Bastiani: «Non esiste un coordinamento vero e proprio, un decalogo di regole per dar vita ad una Social Street “certificata”. Non c’è un capo, una gerarchia e un controllo. Obiettivo principe è la socializzazione tra abitanti della stessa via, la condivisione. Rimanendo sempre al di fuori di logiche politiche ed economiche».
Fin qui la teoria. Ma proviamo a seguire il percorso promosso dalle stesse Social street e a fare un salto «dal virtuale al reale». Se abbiamo capito che via Fondazza sta vivendo il suo momento d’oro, a che punto sono le altre strade sociali sorte in città? In molti casi il modello «fondazziano» è lontano dall’essere emulato alla perfezione. Gli ingredienti per fare una buona «strada sociale» sono infatti le dimensioni non troppo ampie, un moderatore capace di coinvolgere e fare da filtro e una seria voglia di partecipazione che deve superare il «comitatismo». Prendiamo il vicino gruppo del Quartiere San Vitale, che, dopo la fusione delle Social Street di via Torleone e piazza Aldrovandi avvenuta a giugno, riunisce 127 persone. «Non siamo iperattivi, non facciamo feste o pranzi in strada il gruppetto che si ritrova agli aperitivi è costituito da 7- 8 persone», spiega Alice Fanti amministratrice della pagina Facebook. Manca la voglia di organizzare? «No è che siamo soprattutto lavoratori e l’aperitivo è un impegno meno pesante di una cena o una festa, ma abbiamo anche noi i nostri progetti: parteciperemo sicuramente alla festa per i due anni della Social Street di Via Fondazza e da quest’anno vorremmo anche coinvolgere la comunità musulmana della moschea di via Torleone». Da queste parti non si vuole strafare e ci si accontenta, insomma.
Stesso principio che ispira la Social street che riunisce 350 residenti di via Saragozza dentro porta. «Ho visto che cose molto grandi gli abitanti non possono farle e abbiamo deciso di fare le cose più semplici. Come pic-nic, cineforum e corsi per fare la pasta fresca», afferma Cinzia Martelli, amministratrice del gruppo.
Altrove invece l’aggregazione non c’è stata, o tarda ad arrivare. È il caso della Cirenaica. Uno dei gruppi più nutriti tra quelli delle social street, con 533 partecipanti, numero dovuto anche al fatto che raduna sotto la sua ala un intero quartiere. Missione molto ambiziosa. «Il nostro territorio è molto integrato urbanisticamente, ma molto eterogeneo per il tipo di popolazione residente, con case popolari, anziani e giovani coppie», racconta Alessandro Tolomelli, referente del gruppo. Ma a dare una scorsa alla pagina Facebook del gruppo, si notano per lo più commenti dedicati ai furti e lamentele per il degrado che sfiorano a volte punte di razzismo. Tolomelli lo ammette: «Sembra che le persone abbiano l’esigenza di trovare nuovi luoghi e modalità di espressione del disagio, non sempre costruttive. Dall’altro lato non si può tacere una situazione di disagio che dovrebbe mobilitare l’amministrazione locale». E su questo tema l’assessore Matteo Lepore ribatte dicendo: «Noi siamo intervenuti su segnalazione delle Social street più volte, come nel caso dei Giardini del Guasto. È normale che i confronti sui social network tendano a esacerbare i toni, a dare voce al rancore».
E a ben guardare pure la pagina dei Residenti di via Belle Arti (318 partecipanti) è ricca di segnalazioni su spacciatori e furti. Federico Caiulo, amministratore del gruppo sa bene che c’è il pericolo di fomentare le lamentele e si dà da fare moderando e proponendo attività che favoriscano la socialità nel rispetto dei valori dei «social streeters». Ci sono infine gruppi che sono riusciti dopo vari tentativi a raggiungere l’ideale equilibrio tra spirito di condivisione e socialità: è il caso di via del Timavo e dintorni. «All’inizio — racconta Annalisa Perrone, una degli amministratori della pagina Facebook — eravamo in pochi ma senza grandi pretese, grazie alle attività organizzate abbiamo dato vita a una bella comunità e, dopo l’imbeccata iniziale, ora tutto funziona in modo spontaneo». I vantaggi in questo caso sono rappresentati a livello umano dalla presenza di molti fuorisede che hanno bisogno di socializzare e, urbanisticamente, dal Parco Velodromo lì nei pressi, eletto a punto di incontro in mancanza di una piazza. Di fronte ad alcuni casi di degenerazione delle lamentele online ai danni dei vicini rom che vivono ai prati di Caprara, il gruppo ha scelto di non rispondere e in breve tempo i commenti sono scomparsi.
Poi c’è il caso dei Residenti di Via del Pratello, che hanno trovato la formula per far funzionare a pieno regime il gruppo, forse anche grazie alla notorietà della strada in cui vivono. Ma si tratta di un caso in cui il senso di comunità arriva prima del virtuale: «Perché lo spirito sociale qui esisteva prima della Social street», ricorda il referente Nino Iorfino.
Bastiani Non esiste un decalogo vero e proprio di regole per dar vita a una Social street certificata