Benozzo, chi è costui? Eppure punta al Nobel
Il ricercatore dell’Alma Mater candidato al Premio dal Pen Club spagnolo: «Non vincerò: la loro è soprattutto una scelta di protesta»
Solitario, fuori dai salotti, da ogni gioco politico o accademico. Studioso appassionato. Poeta che trova le parole in eremitaggio tra boschi e vallate. Non certo un nome da grande pubblico. Eppure è tra i candidati al Nobel per la letteratura. Francesco Benozzo, modenese di 46 anni, insegna filologia romanza all’Alma Mater. E una sezione spagnola del prestigioso Pen Club International l’ha segnalato con convinzione ai Saggi di Stoccolma.
«È chiaramente una candidatura che rimarrà tale — si schernisce il diretto interessato — Mi ha colto di sorpresa, mi lusinga, ma soprattutto mi diverte». Benozzo ha la voce vigorosa, il timbro di velluto. È, in effetti, anche cantautore: finalista nel 2009 al Premio Tenco e autore di otto album usciti con l’etichetta Tutl. Ma soprattutto la voce è parte della sua produzione poetica. Benozzo, infatti — saggistica esclusa — non scrive. Al limite trascrive, sbobina e «armonizza». Compone liriche immerso nella natura registrando le proprie parole e poi recita, accompagnato dalla sua arpa. L’unica opera «trascritta» è Onirico Geologico (Edizioni Kolibris), il poema posto all’attenzione di Stoccolma. La prossima, dal titolo Felci in rivolta, uscirà per gli stessi tipi con una traduzione in inglese a cura di Gray Sutherland. Benozzo è poeta orale e dedito all’epica del paesaggio. Sono queste due singolari caratteristiche che dovrebbero solleticare una diversa curiosità tra i membri del comitato del Nobel.
Solitamente le identità dei candidati al Premio restano segrete anche decenni dopo la proclamazione del vincitore. Si sa solo che quest’anno sono 320, che c’è anche Sebastiano Vassalli e si dice che da anni continuino a circolare con insistenza i nomi di Umberto Eco e Dacia Maraini. Ma il club di letterati più antico al mondo (interpellato da Stoccolma insieme ad altre associazioni e intellettuali per poter stilare una rosa di papabili)non ha nascosto la propria scelta. «Perché per loro — ci fa sapere Benozzo — la mia è una candidatura di protesta». Così almeno gli hanno spiegato i suoi estimatori poeti e filologi della Galizia, Gonzalo Navaza e Fernando Ribeira, che conoscono bene il lavoro del ricercatore modenese e le dinamiche dei riconoscimenti internazionali. «Io ho avuto il privilegio di accompagnare con la mia arpa Wislawa Szymborska al Teatro Valle — racconta Benozzo — Lei ha meritato davvero il Nobel, come era doveroso il premio all’irlandese Séamus Heaney, ma chi ne sa più di me assicura che spesso i criteri sono politici. Non sempre sbagliati, sia chiaro: come quando si vuole portare all’attenzione interazionale un paese emergente o una tematica importante come per esempio l’immigrazione. Altre volte scattano invece meccanismi più oscuri che hanno a che fare con i poteri nazionali». Con il nome di Benozzo, insomma — che si fa simbolo del rilancio nel futuro dell’antica tradizione orale e della centralità della natura — il Club che sostiene gli autori (compresi quelli censurati e perseguitati) in tutto il mondo ha inteso lanciare un sasso nella palude.
«Tutto è partito dalla Spagna — spiega lo studioso — perché lì, soprattutto in Galizia ho lavorato molto, ho partecipato al festival della letteratura di Madeira. La mia ricerca, da studioso e da artista, è da sempre concentrata sull’oralità, dalle lingue antiche, dai dialetti alle leggende popolari, e questo mi ha portato a viaggiare in Europa, nei luoghi, per esempio, delle civiltà megalitiche, celtiche, del mito di Gilgamesh o a riscoprire in nostri Apennini». Luoghi di cui Benozzo canta lo stupore eterno dei paesaggi, la loro origine geologica che diventa indagine del sé più profondo. Canta, appunto, interpreta. «Perché per me la poesia - afferma — è anche evento fisico, esperienza condivisa. Orecchio che ascolta e voce che parla». Qualcosa che può valere un Nobel.