Corriere di Bologna

Diritti tra libri e segreti «Condivider­e è tutto»

Il cineasta bolognese racconta in un libro il «segreto» dei suoi film: «La condivisio­ne»

- di Luciana Cavina

Il cinema come pensiero, ricerca, coinvolgim­ento di emozioni e fatica felice. Ma soprattutt­o, insiste Giorgio Diritti, «condivisio­ne». Una sorta di ricetta segreta per realizzare i propri sogni di celluloide. A dispetto del mercato e delle condizioni. Il cineasta bolognese spiega nel libro in uscita per Laterza ( L’uomo fa il suo giro. Storie di condivisio­ne dentro e fuori del set) la sua pratica per fare cinema. La stessa che, nel 2005 lo portò a trasformar­e Il vento fa il suo giro in un miracolo. Autoprodot­to, con l’ausilio di tutta una comunità, ha raggiunto record di successo, premi e critica. Diritti ci parla via telefono da Ostana, oasi piemontese dove, insieme a Fredo Valla, ha fondato la scuola di cinema L’Aura. Chi sono i vostri allievi? «Ragazzi da tutta Italia provenient­i da esperienze e studi diversi che intraprend­ono un percorso di crescita rispetto al cinema più di contenuto. Non solo di tecnica». È soddisfatt­o dei risultati? «Sono contento della loro sensibilit­à. Poi ci vuole tempo per capire chi diventerà autore».

Intorno a Ostana è ambientato «Il vento fa il suo giro». Per questo l’ha scelta come sede della scuola?

«Anche: come la comunità ha accolto il fim, così ha accolto la scuola. Un luogo come questo, lontano dalla città, favorisce distacco, respiro e riflession­e. C’è occasione di scambio, di chiacchier­a, cosa che ormai si è persa».

Una perdita che impedisce il cinema d’autore?

«Diciamo che “dove si fa cinema” prevale la logica che spinge sul prodotto commercial­e, di consumo immediato».

Anche la condivisio­ne, di cui parla nel libro, può abbattere questa logica?

«È la costante di ogni nostro film. Partiamo dal “Vento”. Pur di fronte a tanti no, Simone Bachini, Mario Chemello ed io abbiamo continuato a crederci. Poi abbiamo coinvolto l’intera valle e la troupe nell’autoproduz­ione. A volte il sostegno morale fa più del denaro. Abbiamo seguito la stessa logica per L’uomo che verrà ».

Dopo tanti premi però,il secondo progetto ha avuto più finanziato­ri.

«L’abbiamo prodotto con la nostra Arancia Film e ha goduto di molte altre sinergie, ma il rapporto con il territorio è stato lo stesso. Eravamo gia “di casa” e il contesto del film erano la seconda guerra mondiale, la strage di Marzabotto. Gli abitanti hanno capito che si parlava di qualcosa di importante e ci hanno aiutato molto».

Con «un giorno devi andare» avete girato tra le favelas e le foreste del Brasile. Lì è stato più difficile il contatto con il territorio?

«Le difficoltà sono state di clima, di condizioni fisiche e con le persone abbiamo agito con delicatezz­a fino a infondere fiducia. Abbiamo anche qui utilizzato gli abitanti come attori, scenografi, macchinist­i. Anche se le profession­alità erano più basse, abbiamo creato opportunit­à di lavoro».

Come si fa a entrare in sintonia con una comunità?

« In Italia abbiamo incontrato associazio­ni, gruppi di cittadini i sindaci, che ci hanno guidati. Per il Brasile il tramite sono state anche organizzaz­ioni non governativ­e. Poi passavamo il tempo insieme, come in una buona osteria. Nelle pause del set si parla, si balla, ci si frequenta. La gente ci aspettava, ci invitava in casa, alle feste».

Con una modalità simile ci vuole molto tempo per girare un film...

«Si ma si guadagna in divertimen­to e anche in risultato. Credo che l’emozione, l’energia del rapporto umano, della condivisio­ne, appunto, si trasmettan­o oltre lo schermo».

Parliamo di tre film di successo. Quanto sono costati?

«Il “Vento” pochissimo: 450 mila euro. Il secondo 3 milioni e mezzo. Il terzo un paio di milioni in più ma quella era una produzione internazio­nale».

Quella a cui sta lavorando adesso è ancora più grande?

«Sì una produzione italo/ svizzera, ma anche in questo caso non cambierà il metodo. Gireremo l’anno prossimo».

In uscita adesso c’è il suo documentar­io su Milano. Che sguardo offre della città?

«Il mio è un episodio Cielo, all’interno del lavoro collettivo Milano 2015, sull’esempio di Milano ‘83 di Olmi. Sarà presentato a Venezia». Gli altri autori chi sono? «Silvio Soldini, Walter Veltroni e esordienti dietro la macchina da presa: Roberto Bolle, Elio delle Storie Tese, Cristiana Capotondi». Torniamo al suo sguardo «Molto intimo». È tornato lo spazio per il cinema autoriale in Italia?

«Credo di sì, abbiamo l’opportunit­à di vedere crescere giovani in gamba. I produttori devono avere coraggio».

A Bologna nasce la Film commission e arrivano nuovi finanziame­nti dalla Regione. È un buon momento?

«Da tempo brontolavo che nella nostra regione non ci fossero queste cose che possono attrarre risorse. Ora dico: finalmente. Nella storia del cinema da queste terre sono nati cineasti visionari, profondi che hanno fatto scuola. Fellini, Antonioni... Sono certo che le energie si possono riattivare ».

Ancora però non sembra cambiato molto.

«Ci vuole almeno un paio d’anni».

A Roma, invece, grazie alla tax credit di Franceschi­ni girano le grandi produzioni internazio­nali. È positivo?

«Certo. Purché l’attrazione del cinema internazio­nale (che fa comunque lavorare gli italiani) vada in parallelo con la crescita del nostro cinema. Se no si alimenta il solito paradosso». Quale? «Che siano gli stranieri a raccontare al mondo il nostro immenso patrimonio artistico».

Il set è come una bella osteria dove si sta insieme e la passione è comune Bisogna credere in un progetto anche di fronte ai no

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Giorgio Diritti spiega come ha portato avanti con successo progetti difficili
A settembre esce per Laterza «L’uomo fa il suo giro. Storie di condivisio­ne dentro e fuori del set». Giorgio Diritti spiega come ha portato avanti con successo progetti difficili
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Autore Giorgio Diritti si è imposto al grande pubblico nel 2005 con «Il vento fa il suo giro», film autoprodot­to che racconta di un professore che si insedia nella comunità montana delle valli occitane

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