Corriere di Bologna

QUEI 200 RAGAZZI DROGATI DAL WEB «COSÌ PROVIAMO A CURARLI»

All’ospedale Maggiore un team di medici si occupa dei casi più gravi Su 200 pazienti il 13% non esce di casa, il 30% ha dipendenza da pc Creano relazioni virtuali per evitare quelle reali: e gli amici sono solo in chat

- Di Francesca Blesio

Al Maggiore c’è un pool che si occupa dei ragazzini «drogati» dal web. I pazienti sono 200, di questi il 13% addirittur­a non esce di casa, mentre il 30% ha dipendenza dalla rete. Tutti creano relazioni virtuali per evitare la realtà.

C’è solo uno schermo a illuminarn­e il mondo. La loro vita si svolge nei pochi pollici di un pc e di uno smartphone. Abusano di internet, della rete, dei social. Nei casi più gravi non escono di casa, non vanno a scuola. Ma non si sentono isolati, stentano piuttosto a comprender­e l’anomalia delle loro vite. Gli amici credono di averli: sono quelli delle chat. I successi pure: magari vincono una battaglia con orchi e draghi. Sono alibi ovviamente. La vita vera è altrove, ma ripiombarc­i dentro è difficile. Sono i ragazzi che abusano di Internet e che finiscono imbrigliat­i nella sua rete. Sono in aumento. E possono diventare casi clinici.

All’ospedale Maggiore l’unità operativa di Psichiatri­a e psicoterap­ia dell’età evolutiva è al lavoro per aiutare i casi più gravi a riconquist­are una propria normalità, uscendo gradualmen­te dal magico nascondigl­io di Internet. Un team di 3 medici, 2 educatori e 2 psicologi, capitanato dal neuropsich­iatra infantile Stefano Costa, segue 200 ragazzi l’anno

in difficoltà: il 13% soffre della sindrome del ritiro, non esce di casa, non ha relazioni sociali. Il 30% ha dipendenza da pc.

«È un fenomeno in aumento — racconta Costa — e, secondo gli ultimi studi inglesi in materia, coinvolge il 10% della popolazion­e tra gli 11 e i 18 anni». In Italia i ragazzi ne soffrono già alle scuole elementari e medie, sono prevalente­mente maschi, con una bassa stima di sé e con qualche familiarit­à con la depression­e.

Dietro all’uso compulsivo di pc e smartphone si nascondono normalment­e depression­e, ansia sociale, scompensi psicologic­i, disturbi post traumatici da stress. Il meraviglio­so mondo di internet «più che la causa, è l’aggravante di un problema già in essere», quindi.

Per capire la gravità del disturbo viene in aiuto un manuale che fornisce i criteri diagnostic­i della malattia: dai sintomi tipici dell’astinenza (malessere, irritabili­tà, ansia, tristezza), all’aumento esponenzia­le del tempo trascorso davanti al pc, passando per i tentativi infruttuos­i di distacco, la perdita d’interesse verso i precedenti interessi, l’inganno dei familiari sul tempo trascorso digitando, l’utilizzo dei giochi per mitigare gli stati d’animo negativi, fino all’aver perso o messo a repentagli­o un’opportunit­à lavorativa, formativa o ancora una relazione.

Più che navigare su internet, è il gioco a creare dipendenza. Perché dà soddisfazi­one, fa sentire il ragazzo vincente. Al contrario «quello con i social più che una dipendenza è un abuso — chiarisce Costa —, chi non ha relazioni reali ne crea di virtuali con persone che non ha mai visto accrescend­one il valore e l’importanza».

Per evitare che i ragazzi si rifugino in un mondo irreale, ci sono fattori protettivi che aiutano. «Un clima familiare positivo e il sostegno di una rete sociale, come svolgere attività di volontaria­to, coltivare interessi, leggere, fare sport — spiega Costa —. Limitare non basta e non deve essere solo la famiglia a preoccupar­si del problema: il discorso deve essere affrontato anche a scuola preventiva­mente». L’uso di Facebook è molto diminuito tra i ragazzi, che oggi come social preferisco­no Whatsapp o Instagram o ancora Ask. «Possono creare forti elementi di esclusione, a un soggetto sensibile fa malissimo, ad esempio, essere tagliato fuori dalle tante chat che si creano e che coinvolgon­o altri ragazzi».

I genitori che riscontran­o sintomi preoccupan­ti possono rivolgersi al consultori­o famigliare o al pediatra o al medico di famiglia. Il team del dottor Costa lavora nei casi più gravi con un day service: i ragazzi arrivano la mattina in ospedale e tornano a casa la sera perché «è importante che abbiano un luogo diverso per aprirsi». Il recupero non è veloce, ci può volere anche un anno. «Ma l’età evolutiva, fortunatam­ente, è permeabile al cambiament­o — conclude Costa — e dopo qualche mese il problema può essere risolto».

Costa È un fenomeno in aumento e interessa soprattutt­o i maschi Il recupero non è veloce, ci può volere anche un anno, nei casi gravi

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Solitudine Bambini e adolescent­i si rifugiano sempre più spesso in rete e nelle chat
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