LE DUE PIAZZE RIVELATRICI
Aumentano le iscrizioni, specie dei fuorisede. Quasi i due terzi degli studenti si laureano in corso
Un giovane giornalista, socialmente impegnato, riceve la fotografia di un bambino che getta coriandoli su un uomo sdraiato a terra con accanto una bottiglia di vino, sotto lo sguardo di un altro bambino, forse di adulti. Avrebbe potuto cogliere, nell’immagine dell’uomo sdraiato, la sciarpa griffata, polsini candidi con gemelli, un jeans risvoltato con cura. Siamo però in piazza Facebook, luogo non di sensi ma di immaginazione. Il giornalista si infiamma e, «a costo di apparire fascista», stigmatizza l’incivile comportamento contro una persona in difficoltà additando le responsabilità degli adulti e il degrado urbano. Seguono istantanei commenti sdegnati di «passanti» che sfociano rapidamente in proposte di punizioni corporali agli indegni genitori. Gli indegni genitori non frequentano piazza Facebook e solo a sera vengono avvertiti da amici della scorribanda di loro figlio. Sgomenti cercano una via per portarsi su piazza Facebook e avvertire il giornalista di un equivoco in cui è caduto. Il giornalista, informato, correttamente rettifica. Non seguono commenti.
Poche ore prima il fatto era accaduto su una piazza reale, un «campo» della città che, dalle Pietre di Venezia ruskiniane al recente allarme lanciato da Salvatore Settis, rappresenta la forma estrema della città storica italiana, modello di estraneità alle logiche evolutive della città contemporanea e, proprio per questo, un riferimento possibile per azioni di decrescita. Una città inattuale che, a dispetto del tragico prevalere di uno sviluppo orientato solo al turismo, è ancora in grado di impartire secolari lezioni di mixité.
Alcuni genitori, è domenica mattina, bevono uno spritz e guardano i figli giocare. Un «campo» veneziano «abitato» — pochi lo sono purtroppo — è una danza di attori e azioni che incanta chi ne fa esperienza per la prima volta. Non c’è il tempo veloce e lentissimo (e l’isolamento) dell’automobile, non si è in un luogo «specializzato»: si abita, si fa la spesa, si gioca, si parla, si cammina o si sta fermi. Non solo lo si attraversa per andare in un altro luogo, ma ci si muove al suo interno attratti dai diversi fuochi delle molte azioni in corso. Molti movimenti, spesso lenti e di breve raggio, non sono sospinti da necessità bensì dallo spirito di una infraordinaria esplorazione degli accadimenti. Valori persi nella maggior parte dei centri storici italiani, valori che molte azioni di «rigenerazione» cercano di recuperare.
Quasi la metà degli studenti che si iscrivono all’Alma Mater arriva da fuori regione, anche per una laurea magistrale. E sono più bravi che in passato, in quanto accumulano meno obblighi formativi aggiuntivi, i famigerati Ofa, e si laureano sempre più nei tempi previsti, o al massimo un anno fuori corso.
Ritratto di una generazione di studenti dell’Ateneo di Bologna, che adesso va a caccia di stranieri. «Vogliamo attrarre più studenti dall’Europa e dal mondo — spiega il prorettore alla didattica Enrico Sangiorgi —, abbiamo un grande brand che dobbiamo imparare a spendere meglio, siamo come la Ferrari, non abbiamo nulla da invidiare in quanto a notorietà». La fama di Unibo è tale che le immatricolazioni sono in crescita anche quest’anno, quasi del 4%, nonostante in Italia si registrino cali un po’ dappertutto. Premiate soprattutto le scuole di Scienze, Lettere ed Economia, e a trainare il boom sono Fisica e Astronomia (che l’anno prossimo non a caso introducono il numero chiuso), Lettere, Dams e Scienze della comunicazione.
Secondo i dati del Nucleo di valutazione, negli ultimi cinque anni lo studente-tipo dell’Alma Mater ha cambiato i tratti. Gli iscritti non emilianoromagnoli sono in aumento: erano il 36,7% nel 2009-2010 sono il 44,9% nel 2014-2015. Un aumento che si fa sentire in particolare per le magistrali: la percentuale di chi ha conseguito la triennale in un altro ateneo passa infatti dal 28,6% di cinque anni fa al 44,4% dell’anno scorso. «Quasi uno su due viene qui per fare la magistrale, è il segnale dell’attrattività del nostro ateneo», sottolinea Sangiorgi, «le nostre magistrali sono diventate più appetibili». Viene premiato il lavoro degli ultimi rettori che sulle specialistiche avevano puntato molto. Ora l’obiettivo è attrarre studenti dall’estero: le immatricolazioni internazionali sono passate dal 6,5% al 7,2%, ma ci sono margini per un’ulteriore crescita.
Gli iscritti a Unibo sono diventati anche più bravi: se nel 2013 il 25,1% doveva assolvere gli Ofa, l’anno scorso questa percentuale è scesa al 22,4%. «Studiano di più — è la spiegazione di Sangiorgi —, forse per gli ostacoli dati dai numeri programmati. È vero poi che lo studente più preparato ha meno affanni nei tre anni successivi». La conseguenza di un percorso più efficace si evidenzia anche al momento della laurea, «quasi i due terzi si laureano in corso», si entusiasma Sangiorgi. In particolare, i laureati in corso erano il 43% nel 2009 e sono stati il 58% nel 2014. Quelli che si sono laureati entro il primo anno fuori corso sono stati rispettivamente il 70% e il 79%.
Passando a quest’anno, gli immatricolati sono aumentati del 3,9%. Crescono tutte le sedi, eccetto Cesena. Tra le scuole salgono percentualmente più di tutte Scienze e Lettere e beni culturali. «Fisica, Astronomia, ma anche Informatica registrano un aumento di iscritti e chi ha il numero programmato lo satura», ammette il vice presidente di Scienze Bruno Marano. « La nostra scuola è trainata da Lettere, Dams e Scienze della comunicazione — spiega il presidente Costantino Marmo —, solo alle triennali gli iscritti passano da 2.850 a 3.200. Ragioneremo su cosa fare per il 2017, anche sul numero chiuso».
Sangiorgi Siamo attrattivi: la metà degli iscritti viene da fuori per fare la magistrale Vogliamo attrarre più giovani dall’Europa e dal mondo: abbiamo un grande brand