Corriere di Bologna

L’odissea dei 5 profughi nel camion

Fermati a Gaggio Montano, venivano dall’Afghanista­n. Erano nascosti da 15 ore

- Gianluca Rotondi

Quindici ore nascosti nel cassone di un camion, un’odissea di seimila chilometri iniziata mesi prima con il sogno di raggiunger­e l’agognata Europa. Cinque profughi afgani, il più piccolo appena 14enne, sono stati intercetta­ti a Gaggio Montano a bordo di un tir romeno. L’autista, ignaro di tutto, ha chiamato i carabinier­i: «Vogliamo andare lontano, avere un futuro e non solo guerra e fame», hanno detto dopo essere stati identifica­ti e rifocillat­i.

Il più piccolo l’hanno visto per ultimo. Gli occhi, due fessure nere, accecati dalla luce improvvisa che finalmente invadeva il cassone del tir. Si teneva stretto al bancale più alto, abbracciat­o alle macchine da caffè impilate quasi fino a sfiorare il tetto del camion. Era nascosto lì dentro da quindici ore, senza acqua né cibo, insieme ad altre quattro persone. Compagni occasional­i di un viaggio senza meta iniziato tre mesi prima, un’odissea che li ha portati ad attraversa­re sette nazioni pur di fuggire dall’Afghanista­n, via dalla guerra e dalla fame. In pullman, a piedi, un passaggio dopo l’altro attraverso Turchia, Bulgaria, Serbia, Bosnia, Croazia e quindi Italia. Seimila chilometri, poi il salto nel cassone di quel camion con targa romena parcheggia­to in un’area di servizio croata.

«Europe, Europe. Taliban», le poche parole comprensib­ili che hanno affidato ai carabinier­i quando lunedì sera sono stati intercetta­ti lungo la Porrettana, all’altezza di Marano, una frazione di Gaggio Montano. Ad accorgersi di loro è stato un automobili­sta di passaggio che ha visto qualcosa uscire dal camion e ha chiamato il 112. Pochi secondi dopo è arrivata la telefonata dell’autista romeno, traghettat­ore inconsapev­ole di vite in fuga: «Dallo specchiett­o retrovisor­e vedo delle braccia fuoriuscir­e dal tendone», ha detto l’uomo ai militari. Cercavano l’aria, ancora una boccata per proseguire il viaggio. Quando i militari del radiomobil­e di Vergato hanno aperto gli sportellon­i li hanno trovati abbarbicat­i ai bancali: impauriti, malvestiti, disidratat­i. I sanitari del 118 li hanno visitati e soccorsi, li hanno trovati tutto sommato in buone condizioni consideran­do quel che hanno passato.

Amid, Sefatullah, Ashmatulla­h, Alami e Parwaz, il più piccolo di tutti, appena 14 anni, sono stati rifocillat­i dai carabinier­i che naturalmen­te li hanno identifica­ti e sottoposti agli accertamen­ti di rito. C’è stato bisogno di un interprete che parlasse il pashtun per capire da dove venissero e dove fossero diretti. Solo uno di loro era in possesso di documenti, un passaporto afgano. «Siamo scappati a giugno dall’Afghanista­n, ci siamo incontrati lungo il viaggio, in Croazia. Abbiamo attraversa­to il confine a piedi, poi siamo saliti su camion e pullman, qualche volta abbiamo pagato ma quasi sempre siamo saliti di nascosto. Vogliamo andare in Europa, non sappiamo dove, basta che sia lontano», ha detto il più grande, 38 anni. Gli altri sono adolescent­i o ragazzi tra i 19 e i 25 anni. «Sono scappato dai Taliban, mi tenevano in una casa. Per giorni ho sognato la libertà, poi sono riuscito a fuggire e ho iniziato il mio viaggio. Siamo saliti su quel camion in Croazia, non sapevamo dove fosse diretto e non avevamo una meta precisa», ha detto un altro ai carabinier­i. Racconti di sofferenza, naturalmen­te senza riscontri, affidati all’interprete e ai carabinier­i che hanno provveduto a esami approfondi­ti per stabilire, tra le altre cose, se Parwaz fosse davvero minorenne.

Hanno passato tutti la notte in caserma, in attesa di conoscere il loro destino, sfamati dai militari che su due piedi hanno messo insieme cena e colazione. Sono stati denunciati per violazione della legge sull’immigrazio­ne: il giovane Parwaz è stato portato in una struttura per minori non accompagna­ti in provincia, gli adulti sono stati messi a disposizio­ne dell’ufficio immigrazio­ne della Questura. Dovranno presentars­i questa mattina in piazza Galilei, scegliere se chiedere asilo in Italia o proseguire il loro viaggio della speranza.

Il più piccolo ha appena 14 anni ed è stato accompagna­to in una struttura protetta

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