Dentro i bunker sepolti delle pinete romagnole
Viaggio nelle coste della Riviera dove i tedeschi temevano l’assalto alleato
Bunker tedeschi della guerra mondiale in posizioni strategiche sulle coste romagnole. La fitta serie di fortificazioni doveva contrastare lo sbarco alleato, che però non c’è stato. Ma molti di quei bunker ci sono ancora: alcuni sono stati coperti dalla sabbia e dai rovi nella pineta e solo negli ultimi mesi hanno rivisto la luce. Altri sono stati usati come dispense di ristoranti o di locali notturni o come attrezzaie per gli agricoltori.
A puntare l’attenzione su questi insediamenti è il Comitato Ricerche Belliche 360. È stato fondato dal cesenaticense Walter Cortesi nel 1980 e ha trovato appoggio anche a Ravenna. I bunker censiti sono di diversi tipi: si passa da quelli più piccoli adatti a due soldati che usavano una mitragliatrice, a quelli più ampi con cannoni o contraerea fino a quelli per il ricovero personale con stufa e servizi per sei persone. Tutti erano collegati da anguste trincee e gallerie che, finita la guerra, sono serviti anche come prima traccia per il sistema fognario.
«Solo a Cesenatico ci sono 23 bunker censiti — ha detto Cortesi — ma ce ne potrebbe essere un’altra decina ancora da scoprire. Sono stati costruiti nel 1943 dopo l’otto settembre, erano progettati da un’organizzazione tedesca di muratori e ingegneri che si chiamava Todt e realizzati da manodopera italiana».
«A Cesenatico — aggiunge — non hanno ingaggiato scontri a fuoco. Abbiamo testimonianza di due soldati che erano proprio in questa zona fino alla fine della guerra e hanno detto che è stata una vacanza. Invece a Cervia ci sono stati. Queste fortificazioni sono sorte perché pare che un pescatore abbia trovato in mare un pilota americano con i piani di uno sbarco alleato dalla Croazia. Sembra fosse una mossa di intelligence per sviare l’attenzione dei nazisti che, nel dubbio, hanno fortificato la costa romagnola con lo stesso tipo di difese usato anche in Normandia».
Altra zona «calda» è quella di Punta Marina dove sono numerosi i bunker di grandi dimensioni attorno ai quali si è sviluppata la città. Ce ne è uno addirittura della prima guerra mondiale all’interno del parco pubblico di Marina di Ravenna in prossimità di una batteria di sei cannoni di cui restano solo i basamenti in cemento. Erano a difesa della base degli idrovolanti vicina; oggi ne restano tre con le torrette arrugginite. A darne conferma è stato lo storico Mauro Antonellini che ha rintracciato mappe dell’epoca.
Altri bunker si trovano nella pineta lungo la costa, uno è all’interno della Casa della Forestale e uno in un parco giochi. Ci sono anche i così detti «denti di drago» che servivano a sbarrare la strada ai carri armati sempre in fase di sbarco. «C’è quasi un buco nella memoria collettiva — ha detto Enrico Palazzo che cura l’area di Ravenna — che riguarda gli anni della guerra a Punta Marina. Infatti la città era scarsamente popolata e durante la guerra i pochi abitanti sono stati sfollati. I bunker per la contraerea che sono in pineta sono unici e cercheremo di studiarli a fondo».
Ce ne è uno di piccole dimensioni proprio in prossimità della casa dove è morta Anita Garibaldi e dove stanziava la 166esima divisione turkmena. Alcuni appostamenti simili sono lungo l’argine sinistro del Reno che era una via di comunicazione per l’entroterra. «In questi c’è stato conflitto a fuoco tra nazisti e partigiani».