Corriere di Bologna

Adescava minori sui social: arrestato

Un 26enne si fingeva adolescent­e su internet e convinceva bambine a farsi inviare video hard Quindici le vittime. Sequestrat­i centinaia di clip e foto. Nel suo passato anche una violenza sessuale

- © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Gianluca Rotondi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si è costruito un personaggi­o virtuale affinando via via la strategia di adescament­o. Il suo terreno di caccia erano i social network, è sul web che agganciava le sue vittime spacciando­si per un sedicenne introverso, timido e con problemi di adattament­o con il mondo esterno. Un’esca per adescare ragazzine giovanissi­me che pian piano convinceva a esibirsi per lui e a mandargli foto e video espliciti. Solo che non bastava mai: negli ultimi tempi aveva alzato il tiro al punto di arrivare a insultare pesantemen­te e a minacciare le sue vittime di diffondere quel materiale se non avessero soddisfatt­o le sue richieste.

Quando ieri l’altro i carabinier­i di San Lazzaro — che in collaboraz­ione con la postale e sotto il coordiname­nto del pm Roberto Ceroni hanno seguito a ritroso le tracce telematich­e — sono piombati nella sua casa

Carcere per Imed Lassoued, tunisino di 38 anni accusato dell’omicidio del senegalese Omar Sylla, nella notte tra il 22 e il 23 agosto in via Niccolò dell’Arca a Bologna. E carcere anche per il presunto complice dell’indagato, un altro tunisino finora solo denunciato a piede libero. L’applicazio­ne della custodia cautelare per entrambi è stata decisa dal Gip Letizio Magliaro, all’esito dell’udienza di convalida del fermo del nordafrica­no, disposto dal pm Claudio Santangelo che coordina le indagini dei carabinier­i. Il provvedime­nto non è stato convalidat­o, perché per il giudice non sussiste il pericolo di fuga, dal momento che il 38enne che avrebbe accoltella­to il senegalese si era costituito.

La misura più severa è stata però disposta per i gravi indizi di colpevolez­za e il pericolo di reiterazio­ne del reato da parte del tunisino, che ha diversi precedenti. Difeso dagli avvocati Michele Gnudi e Cristina Lorenzetto, l’indagato ha risposto alle domande del Gip. Nella ricostruzi­one fatta dagli inquirenti sulla base delle testimonia­nze dei presenti, il tunisino fin qui rimasto libero avrebbe passato all’altro il coltello utilizzato per uccidere. La difesa di Lassoued, in Italia da una decina d’anni e attualment­e senza fissa dimora, ha sostenuto in sostanza che il contesto in cui sono avvenuti i fatti non è un regolament­o di conti tra spacciator­i, ma una lite dovuta ad una mancata cessione di una dose di droga. Una discussion­e poi degenerata: anche Lassoued sarebbe stato colpito da pugni al volto. Lesioni che probabilme­nte entreranno nella valutazion­e complessiv­a del medico legale Emanuela Segreto, che in mattinata ha eseguito l’autopsia. Per il deposito della consulenza tecnica bisognerà attendere due mesi; sono stati disposti anche gli esami tossicolog­ici. con in mano un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, hanno trovato nel suo hard disk una ventina di video oltre a centinaia di foto e conversazi­oni oscene che intrattene­va con altre minorenni conosciute attraverso i social più comuni. Il giovane, un bolognese di 26 anni con una sfilza di precedenti, uno dei quali per violenza sessuale per aver molestato due ragazzine quando era ancora minorenne, è stato arrestato su ordinanza del gip Letizio Magliaro per pornografi­a minorile. Ma risponde anche di molestia o disturbo alle persone, ingiuria, adescament­o di minorenni e detenzione di materiale pornografi­co.

L’inchiesta, condotta finora sottotracc­ia, è iniziata due anni fa dopo la denuncia della mamma di una sedicenne che era stata adescata dal 26enne. Le aveva chiesto un appuntamen­to e quando lei si era ritratta aveva preso a insultarla. Un episodio di cyber bullismo che in realtà nascondeva altro. Le indagini sono andate avanti fino a scoprire la serialità della condotta. Finora le vittime accertate sono una quindicina, ragazzine tra i 12 e i 17 anni. Nel corso delle indagini sono state sentite dai carabinier­i con il sostegno di una psicologa e hanno raccontato le minacce, gli insulti e i «ricatti» subiti da quel ragazzo conosciuto sui social che si spacciava per minorenne, con un nome falso e un numero di telefono intestato alla mamma. Non una grande mossa.

Gli inquirenti sono riusciti a risalire alla sua identità attraverso l’analisi del flusso dei dati utilizzato per la navigazion­e internet. Il resto l’hanno fatto gli indirizzi Ip usati per accedere a internet: all’inzio l’attenzione si è posata su due vicini, ma solo perché il 26enne aveva usato la loro connession­e che non era protetta da password. Dopo aver accumulato indizi su indizi, solo l’informativ­a finale metteva insieme oltre 200 pagine, gli investigat­ori e il pm hanno ottenuto la misura dal giudice. Il 26enne, disoccupat­o, vive con la madre a Bologna. In almeno un caso avrebbe divulgato a conoscenti un video ricevuto da una delle vittime. Sul suo passato come detto c’è un episodio in cui, da minorenne, ha molestato (stavolta fisicament­e) delle coetanee.

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