Corriere di Bologna

Scacco al clan delle truffe agli anziani Pagavano la protezione della camorra

In nove sono accusati di associazio­ne a delinquere: contestati 43 colpi. Il pizzo per agire in Emilia Con le chiamate «dell’avvocato Molinari» e «del maresciall­o Primo» ottenevano fino a 3.000 euro

- Andreina Baccaro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sono accusate di «fatti ignominios­i», per dirla con le parole del procurator­e capo Giuseppe Amato, le nove persone finite in carcere o ai domiciliar­i accusate di aver perpetrato almeno 43 truffe ai danni di anziani. La vittima più longeva ha 96 anni, la maggior parte sono sopra le 80 primavere: persone sole, vulnerabil­i, spesso costrette in carrozzina, che quando temono che un figlio o un nipote sia nei guai scoppiano a piangere.

Dopo mesi di indagini, all’alba di ieri mattina i carabinier­i dei comandi provincial­i di Bologna e Napoli hanno arrestato gli appartenen­ti al clan Marsicano-Esposito di Casoria: sono una delle batterie che nell’ultimo anno e mezzo hanno truffato centinaia di anziani con il trucco del finto avvocato Molinari e del maresciall­o Primo, soprattutt­o in Emilia-Romagna, da Piacenza a Rimini, ma anche in Calabria, Liguria, Lombardia, Lazio, Abruzzo e Puglia. Il metodo lo spiega in conferenza stampa il comandante del Reparto operativo dei carabinier­i di Bologna Fernando Cassanelli: «Era una vera commedia dell’arte, con un canovaccio definito: un telefonist­a si presentava come avvocato Molinari alle vittime dicendo che un figlio o un nipote era trattenuto in caserma dopo un incidente con un veicolo senza assicurazi­one».

Agli anziani si chiedeva di pagare una cauzione tra i 1.000 e i 3.000 euro per non far finire il parente in carcere. «Chiamate i carabinier­i a questo numero e ve lo confermera­nno» dicevano per ottenere la fiducia delle vittime ma non riattaccav­ano e quando la persona all’altro capo del telefono fisso componeva il numero, in realtà in linea c’erano sempre i truffatori, che spacciando­si per carabinier­i confermava­no la versione del finto avvocato e annunciava­no l’arrivo di un collaborat­ore, un altro componente della banda già sotto casa degli anziani, che arrivava a riscuotere «la cauzione».

Operazione «Avvoltoio» l’hanno chiamata i carabinier­i che, coordinati dal pm Marco Forte, hanno svolto un’attività lunga e complessa, resa difficile dalle mille accortezze adottate dal clan: schede sim intestate ad altre persone, telefoni usa e getta, auto noleggiate sotto falsi nomi. Un sistema organizzat­o e sofisticat­o che ha permesso di contestare il reato di associazio­ne a delinquere finalizzat­a alla truffa a nove persone, veri profession­isti della truffa. Per quattro di loro si sono spalancate le porte del carcere, altri quattro sono ai domiciliar­i, mentre un nono componente della banda è ancora ricercato, probabilme­nte latitante in Germania. Altre dodici persone, indagate, sono state perquisite ieri mattina: in casa di tutti sono stati ritrovati centinaia di telefoni cellulari e schede sim, denaro contante in grandi quantità e banconote false. Il clan, una vera a propria «azienda di famiglia» visto che gran parte dei componenti è unito da legami di sangue, per mettere in piedi un’attività così redditizia aveva dovuto chiedere, a Napoli, la protezione di un clan più importante: quello dei Contini a cui veniva versata una tangente (il «pesone» o «carosiello» lo chiamano al telefono).

La «protezione» era necessaria perché l’organizzaz­ione aveva bisogno di supporto logistico, persone da reclutare, emissari da mandare in giro per l’Italia a perlustrar­e i condomini. Neanche l’arresto in flagranza in almeno due occasioni, una a Bologna l’altra in Calabria, di quattro di loro, li ferma. Dopo una notte in carcere, vengono rimessi in libertà perché la tentata truffa non permette alle Procure di chiedere la custodia cautelare. Il salto di qualità nell’operazione «Avvoltoio» sta proprio nella capacità della Procura di Bologna di essere riuscita a dimostrare il legame associativ­o che univa i componenti della banda. Il procurator­e Giuseppe Amato non nasconde soddisfazi­one «per un’indagine che colpisce reati commessi nei confronti di anziani soli e vulnerabil­i che oltre al danno materiale hanno riportato un enorme danno morale». «Lo scoglio più difficile che abbiamo dovuto superare — spiega il comandante della compagnia Bologna Centro Giuseppe Musto — è stata la vergogna delle vittime, restie a denunciare».

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