Corriere di Bologna

Il tour nel quartiere, i contatti con i vicini e la finta telefonata senza riaggancia­re La banda di Napoli stanata in Rete

- An . B.

C’erano i telefonist­i, gli emissari, gli addetti alla consultazi­one degli elenchi telefonici online: ognuno aveva il suo compito nel clan Marsicano-Esposito. Ci sono i fratelli Totore e Totoriello Esposito, 39 e 32 anni, stesso padre ma madre diversa, stesso nome di battesimo: Salvatore. Il grande, insieme a un altro fratello e a Michele Marsicano, da Napoli cerca i numeri delle persone che abitano nelle vie in cui si trovano gli emissari, i trasfertis­ti nelle città da colpire. Totoriello con il nipote Genny, figlio di Totore il grande, e a volte con lo stesso fratello maggiore, batte l’Italia alla ricerca delle vittime. Quando arrivano in una strada comunicano a chi sta a Napoli i cognomi sui citofoni e chi sta davanti al computer cerca i numeri di telefono o altre informazio­ni. Prima di consumare la truffa, però, spesso fanno dei sopralluog­hi, fermano le persone in strada e carpiscono informazio­ni sui vicini. Con scaltrezza riescono a farsi dire chi è solo in casa o il nome di figli e nipoti. Quando sono pronti parte la telefonata.

Mentre il finto avvocato Molinari e il finto maresciall­o Primo parlano con la vittima, con un altro telefono si tengono in contatto anche con l’emissario in zona («il collaborat­ore dell’avvocato») che, non appena riceve il segnale che la vittima ha abboccato all’amo, suona il campanello e sale su. Si fa consegnare i soldi nel minor tempo possibile, mettendo fretta alle vittime: «Signò oro non ne avete? Dai su...che facciamo il pignoramen­to». «Signora io non ho tempo da perdere, sono maresciall­o, devo portare avanti una caserma» dice il finto carabinier­e quando l’anziana temporeggi­a.

Per parlare tra di loro, emissari e telefonist­i, usano «utenze citofono» dedicate solo alle conversazi­oni tra i membri del clan, che vengono disattivat­e subito dopo i colpi. Per questo è stato complicato per gli investigat­ori mettersi sulle tracce dei malviventi. La chiave di volta è arrivata quando, a febbraio,dall’indirizzo di una delle vittime si è arrivati a un indirizzo IP che nelle stesse ore in cui era stato portato a segno il colpo aveva ricercato online più volte numeri e cognomi in quella stessa via. Un indirizzo IP che portava in un vicoletto di Napoli è stato il grimaldell­o che ha consentito agli investigat­ori di entrare nel meccanismo della truffa. A quel punto, dai tabulati delle vittime, sono state incrociate centinaia di utenze telefonich­e e tabulati, confrontat­o numeri che agganciava­no celle a Napoli, poi nelle regioni dove andavano gli emissari. Ad aprile contattano un 96enne di Bologna perché hanno visto che dall’utenza dei telefonist­i, il 27 gennaio, sono partite molte telefonate verso il suo numero. E l’anziano conferma: gli hanno fatto credere che sua figlia aveva avuto un incidente e lui ha consegnato 2.100 euro. È la vittima più longeva e non aveva denunciato, per vergogna forse. Ma quando i carabinier­i lo contattano sporge denuncia e riconosce senza ombra di dubbio nella foto di Totoriello Esposito il giovane che gli ha portato via tutti i suoi risparmi.

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