CENTRODESTRA SENZA MACCHINA
Centrodestra cercasi. Non pervenuto, sparito dai radar. Per l’ennesima volta Bologna si ritrova con un buco che nessuno ha mai saputo riempire. I moderati non hanno una rappresentanza in grado di impensierire. Il referendum lo ha mostrato in modo spietato: 52,4% di Sì in città. Fra i borghesi, nei quartieri ricchi, mentre la ex rossa Bolognina sceglieva il No, come anche, dice l’Istituto Cattaneo, il 22,8 dell’elettorato Pd. Intanto il 41,9% dei voti del centrodestra alle comunali volava sul Sì.
Se non cambia qualcosa, molti ragionamenti si impongono. L’unica chance per i moderati sono e saranno le divisioni a sinistra. Il 45% raccolto da Lucia Borgonzoni nel 2016 può essere un record non superabile, frutto della debolezza con cui persino il Pd ha mandato Virginio Merola alle urne. Pure a Bologna l’unica alternativa che si pone come forza di governo è il Movimento 5 Stelle: parla di possibili accordi con «altri partiti» su «punti programmatici», sbandiera che «nei Comuni diverse volte Lega o Forza Italia su tempi per noi importantissimi sono pienamente d’accordo con noi». È una mano tesa con misericordioso appetito. E amen se pure i grillini devono scovare candidati in grado di arrivare al ballottaggio, sperando poi nei voti moderati e di destra, cosa che Massimo Bugani non ha saputo fare. Il Sì senza vere etichette politiche di Bologna deve far riflettere anche Merola e soprattutto i suoi aspiranti successori nel 2021: il sindaco accarezza un nuovo Pd, una sinistra da inventare, un neo Ulivo, però — come ha scritto ieri Enrico Franco — tutti devono essere capaci di misurarsi anche con voti moderati in libera uscita, disposti a scegliere in base al raziocinio e non più alle ideologie.
Se per grillini e Pd il problema è di aggiustare la macchina, per il centrodestra è di costruirne una. Finora nessuna ha mai funzionato.
Nonostante le puntate di Matteo Salvini, né Lega né Forza Italia hanno saputo segnare a Bologna la campagna per il No. Non vi è stata vera mobilitazione, ci si è affidati all’effetto nazionale anti-Renzi, mentre i capi locali vivono di piccole rendite di posizione. Una forza di governo si costruisce con il tempo, le idee, i programmi, le alleanze sociali (quanti imprenditori scelgono il centrodestra?) e politiche, un’unità tattica e strategica, le personalità unificanti. Non si può più aspettare in panchina, poi inventarsi candidati all’ultima curva. Mandandoli a sfracellarsi.