Corriere di Bologna

Andreatta: «Ulivo finito Ma Merola fa bene quando chiede alleanze»

Il politologo Andreatta: «Il bipartitis­mo non ha funzionato, serve un progetto federale»

- Di Olivio Romanini

Il nuovo Ulivo? «Non si torna indietro ma il progetto di Merola può servire a ricostruir­e una coalizione», dice Filippo Andreatta.

Come legge il risultato del referendum costituzio­nale vinto in maniera netta dal fronte del No che ha poi portato alle dimissioni (congelate per qualche giorno) del premier Matteo Renzi?

«Questo voto — spiega Filippo Andreatta, docente di Scienza Politica a Bologna e a Trento — mi sembra molto partitico e politico, molto di più di quello che normalment­e succede in un referendum. E soprattutt­o mi pare una simulazion­e di un ballottagg­io dell’Italicum, che alle politiche porterebbe allo stesso risultato perché in un sistema tripolare le due opposizion­i, la destra e il Movimento Cinque Stelle, si uniscono. In Italia il Sì ha incassato circa 12 milioni di voti che sono quelli in dote al Pd da quindici anni a questa parte, fin da quando c’erano Ds e Margherita insieme».

Quindi, una volta che il voto è diventato politico, quella del referendum era una sconfitta prevedibil­e?

«Non era prevedibil­e in queste proporzion­i ed è questo che mi fa pensare che quei voti si salderebbe­ro in un ballottagg­io alle elezioni politiche con l’Italicum e che questo porterebbe a una netta sconfitta del Pd».

Qual è a suo avviso l’exit strategy da questa situazione per il Partito democratic­o?

«Il Pd ha ereditato alcune caratteris­tiche dall’Ulivo rispetto alla sinistra tradiziona­le: la scelta dei leader con le primarie, un progetto postideolo­gico e una vocazione di governo. Quello che non ha ereditato per scelta, a partire dalla stagione della “vocazione maggiorita­ria” di Veltroni, è una strategia di coalizione. La figura di Renzi è emblematic­a in questo senso, è un leader che dà il meglio di sé nella dialettica e nella polemica, non è un federatore. Provare la strada della vocazione maggiorita­ria per favorire la costruzion­e di un sistema bipartitic­o era una strada di modernizza­zione che andava tentata, ma dobbiamo prendere atto che non ha funzionato e che oggi siamo in un sistema tripolare. Bisogna tornare a un progetto federale».

Il sindaco Merola assieme all’ex sindaco di Milano Pisapia, a quello di Cagliari Zedda e a Gianni Cuperlo ha lanciato un’iniziativa politica per rilanciare un Nuovo Ulivo il prossimo 19 dicembre a Bologna. Pensa che sia la direzione giusta?

«Non si può far rinascere le cose del passato. Se però questo progetto ha l’ambizione di ricostruir­e uno spirito federatore del Pd che punti a costruire una coalizione facendo crescere gli alleati allora può servire. Il Partito democratic­o deve essere il baricentro e però deve avere degli alleati che riescano a rappresent­are in parte le spinte anti-sistema che altrimenti vanno tutte al Movimento Cinque Stelle. Nel 2006 ai 12 milioni dell’Ulivo si sommarono 7 milioni di voti alleati. Naturalmen­te bisogna farlo con gradualità per non tornare ad errori del passato, ma bisogna offrire uno spazio di rappresent­anza a formazioni più estreme e radicali, riportando­le in coalizione di governo».

Pensa che si debba tornare ad una legge elettorale proporzion­ale?

«No, però sicurament­e serve almeno una correzione dell’Italicum con l’introduzio­ne di un premio di coalizione, serve un cambiament­o di rotta e bisogna basarsi di più sulla rappresent­atività che sul decisionis­mo: le grandi riforme senza un largo consenso nel Paese non si fanno».

I flussi elettorali elaborati dall’Istituto Cattaneo dicono che a Bologna e a Firenze il Sì ha vinto grazie al cosiddetto Partito della Nazione. Come legge questo dato?

«Più che il Partito della Nazione è apparso il Partito di Renzi. Il Sì a livello provincial­e ha vinto solo a Firenze e nelle province limitrofe, più Modena, Reggio e Bolzano».

Il risultato controcorr­ente di Bologna? Più che il Partito della Nazione qui è apparso il Partito di Renzi Il Pd deve conquistar­e degli alleati che rappresent­ino le spinte anti-sistema

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