Donadoni, i giorni più duri del «soldato»
Alla luce dei risultati sotto le attese anche l’allenatore rischia di finire sul banco degli imputati Ma la squadra, che sta dimostrando molti limiti, sta con lui. Il mercato di gennaio è l’occasione per ripartire
L’undicesimo comandamento per gli allenatori, quello che nel calcio è d’obbligo fare i risultati, vale inevitabilmente anche per Roberto Donadoni, ma quali e quante sono le sue colpe per questo Bologna tanto dispari? Che ci stia mettendo anche qualcosa del suo è sicuro, ma è altrettanto sicuro che le difficoltà della squadra hanno anche altri padri. E lo scriviamo addirittura da agosto, dai giorni in cui questa squadra è stata costruita. Costruita con tanti limiti, ecco la verità, e il tempo che da sempre è galantuomo lo sta evidenziando.
Perché se a un Bologna che alla fine della fiera arriva quattordicesimo togli Diawara, Giaccherini, Rossettini e Brienza (sì, anche Brienza) non puoi che vivere queste ansie. Altro che Bologna più forte dell’anno passato, come da Casteldebole hanno tentato di far credere alla gente. E qui casca l’asino, perché la colpa più importante che può essere addebitata a Donadoni ha proprio origini estive, ed è quella di essere stato troppo aziendalista e di aver accettato senza battere ciglio tutto quello che gli hanno dato. Ora, non è che ci saremmo aspettati da lui dichiarazioni pubbliche avvelenate, ma un pugno su un tavolo della sede (e non su quel muro dello stadio Olimpico di Torino quando si è rotto il polso) probabilmente sarebbe servito.
Soprattutto dopo che per restare a Bologna e portare avanti un progetto che in realtà si è fermato aveva voltato le spalle al ritorno in Nazionale. Certo, è acqua passata, e allora non si capisce per quale motivo ora si debba sparare sul comandante. Tra l’altro non solo è sbagliato, ma è anche poco costruttivo mettere sulla graticola oggi Donadoni. Almeno per due motivi. Il primo: tra quelli che abitano a Casteldebole è di sicuro la persona più stimata e apprezzata da Joey Saputo, l’ultima che il chairman butterebbe giù dalla torre. Il secondo: la squadra è tutta con l’allenatore. I giocatori si rendono conto di attraversare un periodo (che sta diventando lungo) pieno di ansie e di digiuni, ma sono consapevoli che Donadoni resta una guida estremamente sicura, il massimo per questo Bologna.
Giustamente, perché è vero che può anche sbagliare una scelta o una sostituzione, ma il punto è che questa è una squadra povera di qualità, soprattutto ora che ha perso Verdi. Basta rivedere gli infiniti passaggi sbagliati a Udine per capire quanto sia assurdo buttare la croce addosso a Donadoni. Perché eventualmente prima di lui in discussione devono essere messi quelli che questa squadra l’hanno fabbricata, e ci riferiamo a Fenucci, Bigon e Di Vaio. Non fosse altro per quello che è successo per l’attaccante. Destro aveva alle spalle 4 mesi di tormenti, Floccari era alle prese con un‘ernia, di conseguenza il primo giocatore da acquistare doveva essere una punta vera, pronta da subito. Come d’altra parte chiedeva Donadoni. Invece cosa è accaduto? Che il Bologna l’attaccante lo ha preso l’ultimissimo giorno di mercato: Umar Sadiq, un ragazzo del ’97, inevitabilmente da farsi. E soprattutto infortunato. Tornerà a gennaio, come se fosse un nuovo acquisto. Ma c’è da sperare che dal mercato arrivi con 5 mesi di ritardo anche qualcun altro.
Il nodo attaccante Considerati i guai di Destro, Sadiq e Floccari alla squadra serve una nuova punta