Piazza Cavour e da Vito Dove Dalla viveva Bologna
Il racconto di un «cicerone» nei posti che frequentava
Cominceremo tutti da Piazza Grande. Già, da Piazza Cavour, dove Lucio abitava, la prima casa, con babbo e mamma, solo la finestra della cucina guardava la strada, le altre davano su interni. Nell’immaginario collettivo Piazza Grande è Piazza Maggiore, i forestieri spesso si confondono, Lucio bugiardo-inventore ha lasciato fare: ma per lui era lo slargo chic con il busto di Cavour. Fu il primo palcoscenico: appoggiato alla statua, si atteggiava al conte piemontese appena gli spuntarono i primi peli. «Da bimbo, a mia mamma avevano detto che era affetto da nanismo e lei mi diede una pozione che mi fece spuntare una foresta».
Piazza Cavour sono il pallone fra le panchine e gli innamorati, i sogni che si ingrandiscono. «E la mia casa è Piazza Grande» canterà. Lucio guarda le stelle dalla «soffitta». È piccolo, bruttino, pieno di solitudine. E comincia a volare. Lo racconterà decenni dopo, nell’estate 2010, in una lettera pubblicata nel bellissimo libro di Gianfranco Baldazzi e Roberto Serra L’uomo degli specchi. «È da lì in alto, fino a quando ci sarà una finestra che il mio cuore continuerà a cantare».
Da lì partiremo. Giorgio Comaschi, Emilio Marrese, Pierfrancesco Pacoda, Ernesto Assante, Gino Castaldo. E io. Tutti finiremo in via d’Azeglio, nella casa ultima di Lucio, gran signore e grande rigattiere che lì ha accumulato tutta una vita.
Saremo guide, cercando la vita che prosegue, segna Bologna, Lucio va in città, si spande, lo chiamammo Il Ragno, la Cna evoca gli artigiani che lo accompagnarono, il gran barbiere di Piazza Cavour dove i ragazzini ci si affacciavano come a un teatro, i corniciai dei primi quadri, gli affinatori di clarinetti. Cercando insieme una storia futura.
Vedremo. La piazza è Lucio che cresce, Morandi già famoso dorme a casa sua; quando la fama si offuscherà e passa all’amico, Gianni troverà fiato suonando e risuonando il piano in un’altra dimora di Lucio, a Trastevere. In piazza Cavour ci sono gli anni dei «fughini» in Vespa e Lambretta sui colli. «Terre di Gaibola» è un mitico campetto e la prima etichetta di Lucio, in via Rolandino de’ Passeggeri. In fondo si innalza San Domenico. Avviato dalla mamma alla devozione a padre Pio, Lucio nella basilica e nei chiostri bolognesi trova la religione colta di fra’ Michele Casali, il fondatore con Guccini dell’Osteria delle Dame, uomo di mille incroci. Dalla gli farà sentire per primo L’anno che verrà.
Via via, da Vito, la trattoria dove la Bologna e l’Italia che cantavano, recitavano, dipingevano, scrivevano si sono trovate per migliaia di notti. Menù sempre uguale da decenni, come le foto alle pareti che bloccano incantati anziani e adolescenti. Lucio ci ha fatto crescere un’Italia unica: Ron, Luca Carboni, Biagio Antonacci, Samuele Bersani, Vasco e poi e poi. Arrivavano con le cassette delle loro canzoni, lui c’era sempre.