«Il mio “core ‘ngrato” affronta l’alzheimer»
Rosalia Porcaro stasera al Dehon in veste tragicomica
Messico sono conosciuti più che in Russia, a Londra c’è chi è accorso sei, sette volte di seguito. E se a New York il pubblico parte quieto e poi si scatena in un carnevale, in Spagna rispondono con esplosioni di energia. Ultima frontiera: il Sudafrica. E l’Italia? «È tra i Paesi in cui trovo maggiori emozioni. Ne siamo innamorati». Epico, lirico, travolgente, furbo, naif: Slava è questo e molto altro e questo capolavoro, tra neve silenziosa, coriandoli che scendono, palloncini colorati, ci prende ancora per mano. Sempre diverso ma con l’immutata capacità di farci sognare.
«Quando sentiamo “core ‘ngrato”, oltre alla famosa canzone ci viene in mente un rapporto d’amore travagliato tra uomo e donna. Invece qui niente di tutto questo». Rosalia Porcaro, attrice comica che ha dato vita in questi anni a una divertente galleria di personaggi di varia umanità, stasera è al teatro Dehon di via Libia (ore 21, info 051/342934) con lo spettacolo Core ‘ngrato, di cui è anche autrice insieme a Corrado Ardone. Accompagnata dal Trio Ánema e la voce cantante e recitante di Giorgia Camurati, diretta da Carlos Branca, l’attrice campana veste i panni di un triplice ruolo: quello di figlia, madre e badante. Al centro della storia, una figlia e una madre. Quando la memoria di quest’ultima si fa labile a causa dell’alzheimer, i ruoli si ribaltano.
Rosalia Porcaro, a cosa si riferisce il core ‘ngrato?
«Al rapporto tra madri e figli. Visto da un figlio, è la perdita del ricordo dell’amore ricevuto da una madre. Ma dall’altra parte è il conflitto che nasce quando in mancanza di alternative un figlio affida la madre a una struttura pubblica o una badante e ciò può sembrare un tradimento».
Le madri diventano figlie e viceversa...
«È un passaggio inevitabile ma importante per capire che nonostante i conflitti il legame è sempre molto profondo».
Un amore, che si spinge a conseguenze estreme.
«Il loro legame è talmente forte che riescono a comunicare anche solo con gli sguardi e anche oltre. Fino a quando la figlia aiuta a fare andare via sua madre. Ma l’eutanasia, anche se è un tema importante della pièce, non è centrale».
Ci si può preparare a una malattia come l’alzheimer?
«L’alzheimer quasi mai ci fa trovare pronti. È una malattia difficilissima, può durare molti anni, mette a dura prova. Un figlio che vede perdere un genitore così è naturale che senta il bisogno di allontanarsi e vive enormi sensi di colpa».
Lei, attrice comica, come ha affrontato un tema del genere?
«In chiave surreale, a tratti comica, a tratti commovente. Mantenendo tutto sul piano grottesco si può parlare anche di questo. Non dimentichiamo che questa è una pièce tragicomica».
Tragicomici come i suoi personaggi, da Natasha ad Assundham?
«Tra operaie, cantanti neomelodiche disperate, donne dietro al velo, i miei personaggi sono tutti tragicomici. Il salto che ho fatto, piuttosto, è nell’affrontare uno spettacolo meno cabarettistico, con un testo a cui pensavo da tempo e che mi stava a cuore».