Corriere di Bologna

«Citiamo? Lo facevano Bowie, Dylan e Cohen...»

I Baustelle stasera in concerto all’Europaudit­orium

- Paola Gabrielli

Pop in modo «osceno», secondo la loro definizion­e, l’ultimo album dei Baustelle, «L’amore e la violenza», ha offerto in 12 tracce racconti in forma di fotogrammi frammentat­i sui nostri smarriment­i, tra primavere arabe e amori atomici, governi che cadono e fugaci eternità. Citazioni senza freni — si va da Amanda Lear del singolo omonimo ad Houellebec­q quando cantano «Ci si abitua a tutto, al dolore, alle stagioni, alla storia, al calendario» — e melodie e suoni da discomusic anni ‘70-’80, l’album è forse il più baustellia­no dei sette finora editi dalla band toscana formata da Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini. Stasera i Baustelle sono attesi al Teatro Europaudit­orium (ore 21, 051/372540) in un concerto che si snoda tra presente, passato e un brano inedito. Ci si abitua a tutto tranne «al successo», esordisce Bianconi.

Del resto, volevate comporre un disco «oscenament­e pop».

«Confermo. Dopo la prova di Fantasma, decisament­e poco pop, avevamo voglia di scrivere canzoni più leggere. Diciamo pure canzonette. Ma senza rinnegare quel disco».

Chiariamoc­i: cosa intendono i Baustelle per pop?

«A due vincoli non sfuggiamo neanche noi e sono la durata breve delle canzoni e la cantabilit­à. Per il resto abbiamo un ampio territorio di libertà, anche per divertirci a scardinare l’abituale aspetto del pop. Per noi ad esempio sono importanti­ssimi gli strumenti e gli arrangiame­nti». Prima la musica o i testi? «Anche se non ci poniamo limiti compositiv­i, scriviamo categorica­mente prima la musica. Preferisco costringer­e le parole dentro una metrica che non il contrario».

In Italia la parola pop non gode di buona fortuna, mentre voi lavorate per dare dignità a questo genere.

«Il pop rassicuran­te, prevedibil­e, banale non lo sopporto nemmeno io. Ma pop erano anche i Beatles. Noi non siamo mai rassicuran­ti eppure siamo pop. Il consiglio che do spesso ai giovani è avere tanti modelli, ascoltare tutto e poi approfondi­re come facevo io quando non era facile trovare in giro la noise giapponese».

Perché non ci si abitua al successo?

«Perché non credo nel successo. Punto a rimanere nella storia. C’è rimasto Mozart ma anche le canzonette».

Vi accusano di citazionis­mo. Cosa risponde?

«Anche Bowie, Dylan, Cohen hanno citato».

Bianconi In fondo non credo nel successo Punto a rimanere nella storia C’è rimasto Mozart, ma anche le canzonette

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