Corriere di Bologna

TEATRO VALDOCA DA OGGI IL NUOVO INIZIO

Mariangela Gualtieri parla della rinascita della compagnia con «Giuramenti», una nuova produzione in scena stasera al Bonci di Cesena. Sullo spettacolo: «Volevamo che la lingua uscisse dalla piccolezza, ritrovasse la potenza originaria»

- Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Torna il Teatro Valdoca, con una grande produzione. Da stasera al 14 alle 21 al Bonci di Cesena debutta in prima nazionale Giuramenti, regia, scene e costumi di quell’agitatore di campi magnetici teatrali che è Cesare Ronconi, parole di una della maggiori, più profonde, poetesse italiane, Mariangela Gualtieri. In scena, dodici giovani o giovanissi­mi.

Mariangela Gualtieri, che cosa giurate?

«Non faremo giuramento a nulla. Volevamo prendere del giuramento la solennità, la forza della parola, l’energia. Volevamo che la lingua uscisse dalla piccolezza, ritrovasse la potenza originaria, sacra, chiamando a testimoni quelli che una volta si chiamavano dei. È uno spettacolo sulla pienezza, sul risveglio; intende opporsi alla modestia di questi tempi in cui per i ragazzi sembra impossibil­e qualsiasi sogno».

Come ha formato il gruppo di attori, Ronconi?

«Non ha fatto provini ma due anni di laboratori e seminari, che hanno compattato il gruppo, diventato alla fine una vera comunità».

Da molto non creavate spettacoli con tante presenze.

«In Caino del 2011 c’erano molti interpreti, ma erano profession­isti come Danio Manfredini o Raffaella Giordano. Questo lavoro è per noi una specie di rifondazio­ne. Abbiamo abbandonat­o il ministero, i finanno ziamenti, per protesta, per non finire aziendaliz­zati. Giuramenti è un manifesto: afferma che il teatro si può fare in povertà, cercando un’altra ricchezza, di tempo, di ispirazion­e, di energia».

Lo spettacolo è nato in residenza al teatro Dimora dell’Arboreto di Mondaino, sopra Cattolica, tra i boschi.

«Siamo stati là da gennaio. Lucia Palladino, che cura la drammaturg­ia del movimento, ha avuto da Ronconi l’impulso di prestare attenzione al presente. E intorno all’Arboreto c’è il bosco. Lo abbiamo incontrato, partendo da riflession­i con Lorella Barlaam che parlava di branco, muta, caccia, Artemide, Minotauro, tragedia, catarsi. Ogni giorno gli attori sono entrati nel bosco, per alcune ore. Là ci si annulla con la potenza del silenzio. Andavano come cavalieri in cerca del Graal a perdersi, a provare paura, a sospendere il pensiero, per ritrovarsi. Quando entrava-

in sala erano carichi….». E il suo testo, come è nato?

«L’ho creato quasi tutto lì, con loro. La notte scrivevo; la mattina arrivavo alle prove con parole che loro ascoltavan­o come affamati di dare vita a quelle frasi. A volte funzionava­no subito, altre volte no e bisognava scartare. Ho avuto un privilegio che pochi scrittori possono vantare: portare subito in scena i testi, verificarl­i, vedere come si trasforman­o in insegne, in vessilli indossati dall’attore». Cosa vedremo?

«Non c’è una storia e neppure psicologia dei personaggi. Il coro canta, danza, recita; da esso emergono singole figure, ognuna delle quali indossa un carattere, l’ardore, la riflession­e, la rivolta, lo sdegno… È il mio testo più aderente a questo tempo, più immanente che trascenden­te. Loro, gli interpreti, lo porgono con maestria e grandissim­o ardore». La scena cosa ci riserva? «Gli spettatori saranno nei palchi. Il colore dominante della scena sarà il rosso, mentre le sedie della platea saranno coperte con teli bianchi. Proiettere­mo immagini del bosco, da un documentar­io di Ana Shametaj. I ragazzi avranno abiti scuri e i volti impastati di argilla, come maschere che cancellano i connotati individual­i, scudi che danno la forza di rivelarsi profondame­nte».

Ho avuto il privilegio di poter portare subito in scena i testi, vederli come si trasforman­o

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