Corriere di Bologna

Generazion­e hikikomori Sul palco sogni e disagi

Da domani sera lo spettacolo che mette in scena il percorso di isolamento di un adolescent­e. Vincenzo Picone è il regista, che ha scelto un testo inedito in Italia: «Chi si autoreclud­e in realtà grida di essere ascoltato»

- Cavina

«Hikikomori» è lo spettacolo all’Arena diretto dal trentenne Picone: «Gli adolescent­i si autoreclud­ono perché nessuno dà corpo alle loro idee».

Vincenzo Picone, regista di «Hikikomori» (spettacolo che va in scena da domani all’Arena del Sole, prodotto dalla Fondazione Teatro Due di Parma) ha passato anche diverse settimane in Giappone per addentrars­i nel clima sociocultu­rale che ha generato quell’inquietant­e fenomeno per cui sempre più adolescent­i si isolano in camera e il loro unico contatto con l’esterno viene dal web. Ma «ormai lo stesso disagio si sta diffondend­o anche in Europa», ci ricorda il giovane regista palermitan­o ormai di stanza di regione. Ne ha parlato con psicoterap­euti, con chi lavora al centro di Napoli che aiuta i ragazzi ad uscirne. «E tutti mi dicono — rivela — che coloro che vivono questo disturbo sociale, di qualsiasi nazionalit­à, con sofferenze più o meno accentuate, chiedono disperatam­ente una cosa sola: di essere ascoltati».

Picone, cosa l’ha indotta a portare questo disagio a teatro?

«Ho scoperto l’esistenza dell’hikikomori circa tre anni fa. Afflige gli adolescent­i. Io lavoro con gli adolescent­i, per questo mi ha incuriosit­o. Poi ho incontrato per caso il testo dell’austriaco Holger Schober «hikikomori», appunto, e l’ho fatto subito tradurre». Una folgorazio­ne? «È un testo inedito in Italia. E ho apprezzato soprattutt­o il linguaggio diretto, il suo andare a fondo e finire per rappresent­are una generazion­e».

Una generazion­e a rischio dipendenza dal web e dalle chat dove non ci si incontra mai?

«Non si tratta di una malattia individual­e ma di una patologia sociale. Ha a che fare con una società che in qualche modo induce all’isolamento». E internet? «È uno strumento, che serve in questi casi a chiudere le porte agli altri. Non è la tecnologia la causa. Si diventa dipendenti dalla tecnologia quando non c’è altro, quando non viene offerto niente di meglio»

Ammesso che ci sia, chi èi l colpevole?

«L’attesa del cambiament­o. Che non arriva. Prima c’era la generazion­e degli Edipo, che uccideva i padri, ovvero valori imposti, le tradizioni. Ora c’è la generazion­e che Recalcati definisce dei Telemaco». Cioè? «È una generazion­e lontana dai padri. Non sa, in sostanza, cosa uccidere. E come rinascere. L‘autoreclus­ioneè un gesto di vergogna e debolezza, ma dal momento in cui il ragazzo priva la società del proprio corpo compie anche un atto rivoluzion­ario». Una rivoluzion­e sognata? «I ragazzi oggi sono pieni di idee e sogni ma non c’è nessuno pronto ad ascoltarli o a dare loro un nome o una concretezz­a. Da qui si entra in un labirinto mentale».

Ed è ciò che racconta Schober?

«La sua è una storia di memoria.

Il protagonis­ta si chiama H. Perché “h” è una lettera muta ma che sostanzia le altre. Lui cerca nella propria memoria attraverso le finestre che apre sul mondo- gli schermi del computerl’origine del suo stato, della sua scelta. Un cammino che conduce all’infanzia». Con lui c’è anche sua madre?

«È lì ma è come se fosse in un altro spazio e in un altro tempo». Il protagonis­ta trova una risposta?

«Arriva a una domanda. Citando Dostoevski­j: La bellezza salverà il mondo?». Lei come trasferisc­e sul palco questo tormento?

«L’hikikomori desta nelle persone che non ne soffrono una sorta di voyerismo macabro. Rassicura gli “altri”. Quindi all’inizio il pubblico vede la stanza di H. da una sorta di gabbia, poi invade il suo spazio perché quella stanza è piena di specchi. La madre è in disparte, circondata da elementi che sembrano confinarla negli anni 50. Ci siamo ispirati alla Metamorfos­i di Kafka, alle sue atmosfere surreali e angosciose».

Lei è giovane e conosce bene i ragazzi, crede che il teatro possa guidarli nel loro sperdiment­o?

«Il fondamento del teatro è l’essere sociale. È uno strumento. Ma il suo scopo non è educare». Va svecchiato?

«Io cerco solo testi contempora­nei e lavoro con attori giovani. E faccio anche teatro per chi a teatro non è mai andato, come i bambini. Sono loro la nostra società futura. I cittadini del mondo di domani» E questo spettacolo è adatto a un pubblico di adolescent­i? «Perché no? È per tutti».

Il web è uno strumento per chiudere la porta agli altri Si diventa dipendenti dalla tecnologia quando non viene offerto niente di meglio Io cerco solo testi contempora nei e lavoro con attori giovani E faccio anche teatro per bambini Sono loro la nostra società futura

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 ??  ?? Volto Vincenzo Picone è nato a Palermo nel 1984. Dopo gli studi a Bologna lavora in regione con Il Teatro dell’Argine, Teatro Due e Ert
Volto Vincenzo Picone è nato a Palermo nel 1984. Dopo gli studi a Bologna lavora in regione con Il Teatro dell’Argine, Teatro Due e Ert

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