Bologna, cinque esami in cinque gare Il primo interrogato è Donadoni
Si decide il futuro di squadra e tecnico. La società invece si gioca la credibilità
Un pensiero che è più di un messaggio, Roberto Donadoni lo ha esternato attorno alle 20.30 di sabato, una quarantina di minuti dopo la fine di Atalanta-Bologna. E i giocatori rossoblù, soprattutto quelli interessati a restare a Casteldebole, faranno bene a prendere alla lettera quelle sue parole. «È l’ora dei giudizi e delle scelte anche per il domani, da qui alla fine di maggio ci giochiamo tanto tutti, a cominciare da me».
Come dire: chi non avrà addosso le necessarie motivazioni e non giocherà con l’atteggiamento giusto, inevitabilmente si allontanerà dal Bologna. A parte che ciascun giocatore sarà pagato per correre e rincorrere almeno fino al 30 giugno, e ciò sarebbe già un buon motivo per restare con la spina attaccata, ma al di là di ciò chi non capisce che queste ultime cinque partite rappresentano addirittura una sorta di esame vuol dire che nella testa ha concetti sbagliati. Anche perché da sempre si finisce per ricordare di più quello che è accaduto nelle vicinanze dei titoli di coda rispetto a quello che è successo prima. Sia nel bene sia nel male.
Ora, è evidente che Donadoni ha parlato così per far avvertire alla squadra qualche dose di pressione, perché se per certi versi poteva anche passare sopra alla sconfitta (ingiusta) di Bergamo, ecco che non aveva dimenticato ancora l’inallenatore decente prestazione di Firenze. Anche perché l’allenatore del Bologna si sta rendendo conto di come e quanto sia importante chiudere bene questa annata, di sicuro più carica di ombre che di luci. Attenzione, non solo per la squadra, che troppe volte ha steccato, ma anche per lui stesso. Nonostante abbia un contratto in essere che scadrà nel giugno 2018.
Il discorso è questo: anche nel caso in cui il Bologna decidesse di non allungarglielo, un conto sarebbe poter ricominciare il campionato avendo alle spalle un buon finale di stagione e un altro sarebbe dover ripartire tra lo scetticismo della gente e tanti veleni. Non tralasciando neanche, a quel punto, le inevitabili perplessità della società, perché se non le avesse avute il contratto glielo avrebbe allungato, considerato che per una regola non scritta del calcio non è mai consigliabile presentarsi al via con un allenatore che è in scadenza. Soprattutto alla luce del fatto che questo stesso solo un anno prima aveva voltato le spalle alla Nazionale, sicuro com’era di restare a Bologna per tanti anni.
Insomma, Donadoni e la squadra hanno tanti buoni motivi per far diventare belle queste ultime cinque giornate, e se sull’atteggiamento del tecnico uno potrebbe anche mettere la mano sul fuoco per quella che è la sua infinita serietà, bisognerà capire quello che sarà lo spirito della squadra.
E qui arriviamo all’ultimo punto, quello che riguarda la società. Che è l’anima, la testa, il cuore e va messa sempre lassù, sopra tutto e tutti. Di solito nel calcio quando la società c’è, nel senso che è forte e sa sempre quello che deve fare e come farlo, difficilmente una squadra perde colpi. Certo, non è che sempre può vincere le partite se non è la Juventus, ma sul piano dei comportamenti e delle prestazioni può sbagliare una volta, ma non due o tre di fila.
Poi: è sempre la società che fa forte o debole l’allenatore e non il contrario. E questo non è un luogo comune, da tutti quelli che fanno calcio è ritenuto un passo del vangelo. Ecco perché da qui alla fine del campionato anche la società avrà un ruolo importante. Qual è la nostra idea? Quella che fin qua abbia gestito meglio i periodi felici (e di conseguenza i facili entusiasmi) che le difficoltà.