Il «teatro di terra» Le Ariette in viaggio
Oggi lo spettacolo al Bosco laghetto di Castelfranco Emilia
die Prevost e Giancarlo Schiaffini, alle 18. Tre figure storiche della scena contemporanea, pionieri della musica attuale, dal jazz libero all’improvvisazione radicale, e ispiratori persino di leggende rock come Pink Floyd e Velvet Underground. Il programma è intenso e per scoprirlo per intero si consiglia di consultare il sito www.cultura.comune.forlì.fc.it. Intanto, un’anticipazione, per dire del carattere non stop della rassegna. Alle 6 di domani si può già cominciare ad ascoltare musica. Con Dino Rubino, talento emergente del jazz italiano.
Ci sta proprio bene in una rassegna intitolata «ViverVerde», tra cibo di strada, gare sportive, spettacoli per grandi e piccoli, incontri e dibattiti ecologici. «Teatro di terra» del Teatro delle Ariette, un lavoro del 2002 ripreso di recente, sarà in scena al Bosco laghetto di Castelfranco Emilia oggi alle 18.30. Racconta la passione per la terra della compagnia di Castello di Serravalle, tutta etica, politica, poetica. Stefano Pasquini ci racconta: «Parliamo di agricoltura ma con una sottotraccia dedicata all’amore, all’accoppiamento, dei semi, degli animali, degli esseri umani. Parliamo delle specie che si riproducono grazie all’incontro con l’altro. L’amore si intreccia con la terra, con la natura. È una pièce semplice, che si può fare perfino in un prato».
La trama percorre in modo popolare ma raffinato un sentimento esistenziale che pervade tutti, quello degli anni che passano: «Esploriamo la trasformazione che il tempo porta, di come per esempio la farina di mais combinandosi con l’acqua e con il fuoco diventa polenta. Lo stesso processo avviene quando incontriamo l’altro, che ci cambia, spesso senza che noi ce ne accorgiamo».
Per questo è una rara forma di teatro politico, senza proclami ideologici. Narra storie, parla di emozioni, inclina al dolore per le perdite e le violenze ma non rinuncia a cercare bagliori di felicità. Comunica direttamente con gli spettatori, catturandoli nel gioco scenico per poi produrre distanza e riaprire le frontiere del giudizio.
Il pubblico è disposto a semicerchio dietro a tavolini bassi ottenuti con cassette di frutta rovesciate. La vicenda si distende lungo la preparazione di una polenta e porta la terra nella scenografia. Con una gabbia a forma di casa con un gallo e una gallina e una fioritura di palloncini colorati. Sul fondo stanno gli attori, vestiti da fornai, da camerieri, vicini a pentoloni, fornelli, formaggi. Uno di loro impasta, stende, inforna, cuoce schiacciate. In poco più di un’ora ascolteremo storie di abbandoni, di dolori d’amore; gli interpreti spareranno e cadranno su un cumulo di terra a forma di cadavere disegnato sul selciato sotto voci di bombe, di attentati, di spari, di scontri. Rievocano gli scontri di Genova 2001 e venti di guerra. Sentiremo storie di semi - quante carote o grano producono -, di acqua, di morte apparente nella terra e di germinazione. Ascolteremo roche canzoni di Tom Waits e assisteremo a tragedie attraversate con il naso rosso da clown, in un intenso spettacolo autobiografico, generazionale.