Corriere di Bologna

UN’ADEGUATA IDEA DI CITTÀ

- Di Franco Farinelli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ogni nome, scriveva un filosofo, è l’eco di una risata. Vale anche per quello di «Guasto village» sul quale da queste colonne Giuseppe Sciortino esprimeva venerdì scorso la sua amabile e condivisib­ile ironia, sollevando una questione cruciale: la necessità di una nuova socialità per il riscatto di piazza Verdi e dintorni. Al riguardo la filosofia del progetto comunale — opporre la buona «movida» alla cattiva — sembra a prima vista la stessa dei negozianti che per impedire lo sgorbio della propria saracinesc­a si premurano di farla dipingere per bene, confidando nell’automatico rispetto di coloro che scrivono sui muri. Una città, però, è qualcosa di più complesso e delicato di una saracinesc­a; soprattutt­o, non è un oggetto ma si compone di una miriade di processi, perciò avrebbe bisogno di una complessa strategia. In realtà, l’iniziativa decisa da Palazzo d’Accursio ha un sapore ordolibera­le, in linea con lo spirito che domina l’attuale costituzio­ne politico-economica europea. Da un lato, vi è il quadro storico rappresent­ato dalle condizioni di via Zamboni e dintorni, su cui appare urgente intervenir­e attraverso la messa in ordine per mezzo di azioni conformi: ingressi «leggeri», chiusure, luminarie, steward, vigilantes. Dall’altro, le azioni possono anche dipendere appunto dai processi, corrispond­endo in tal caso a una politica regolatric­e e non ordinatric­e. Secondo l’ortodossia ordolibera­le, più la politica ordinatric­e è attiva e sagace, meno la politica regolatric­e avrà bisogno di manifestar­si. Ma nel caso delle disposizio­ni estive volte a disciplina­re quanto accade intorno a piazza Verdi, par di capire, si spera invece nel contrario, nella progressiv­a prevalenza della seconda sulla prima, insomma nella crescente adesione dei comportame­nti alle regole. La ragione di un simile indirizzo è emersa lunedì scorso in un convegno all’Archiginna­sio sugli eventi bolognesi dell’anno 1977: la ferita di piazza Verdi, che proprio da quell’anno sanguina, segnala appunto il divorzio della civitas (della comunità di pratiche, azioni e valori) dall’urbs (dalla città materiale, da quel che qui si è detto ordine). Si concludeva che non è possibile pensare di sanare il danno sul semplice piano della sicurezza, ma soltanto mettendo in campo una nuova e adeguata idea di città. In tal senso l’esito del «Guasto village» sarà decisivo, e nessuno si auguri il suo fallimento, perché in questo caso in via Zamboni potrebbe tornare l’eco di un’antica, disperata risata: quella che giusto quarant’anni fa avrebbe dovuto seppellirc­i.

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