UN’ADEGUATA IDEA DI CITTÀ
Ogni nome, scriveva un filosofo, è l’eco di una risata. Vale anche per quello di «Guasto village» sul quale da queste colonne Giuseppe Sciortino esprimeva venerdì scorso la sua amabile e condivisibile ironia, sollevando una questione cruciale: la necessità di una nuova socialità per il riscatto di piazza Verdi e dintorni. Al riguardo la filosofia del progetto comunale — opporre la buona «movida» alla cattiva — sembra a prima vista la stessa dei negozianti che per impedire lo sgorbio della propria saracinesca si premurano di farla dipingere per bene, confidando nell’automatico rispetto di coloro che scrivono sui muri. Una città, però, è qualcosa di più complesso e delicato di una saracinesca; soprattutto, non è un oggetto ma si compone di una miriade di processi, perciò avrebbe bisogno di una complessa strategia. In realtà, l’iniziativa decisa da Palazzo d’Accursio ha un sapore ordoliberale, in linea con lo spirito che domina l’attuale costituzione politico-economica europea. Da un lato, vi è il quadro storico rappresentato dalle condizioni di via Zamboni e dintorni, su cui appare urgente intervenire attraverso la messa in ordine per mezzo di azioni conformi: ingressi «leggeri», chiusure, luminarie, steward, vigilantes. Dall’altro, le azioni possono anche dipendere appunto dai processi, corrispondendo in tal caso a una politica regolatrice e non ordinatrice. Secondo l’ortodossia ordoliberale, più la politica ordinatrice è attiva e sagace, meno la politica regolatrice avrà bisogno di manifestarsi. Ma nel caso delle disposizioni estive volte a disciplinare quanto accade intorno a piazza Verdi, par di capire, si spera invece nel contrario, nella progressiva prevalenza della seconda sulla prima, insomma nella crescente adesione dei comportamenti alle regole. La ragione di un simile indirizzo è emersa lunedì scorso in un convegno all’Archiginnasio sugli eventi bolognesi dell’anno 1977: la ferita di piazza Verdi, che proprio da quell’anno sanguina, segnala appunto il divorzio della civitas (della comunità di pratiche, azioni e valori) dall’urbs (dalla città materiale, da quel che qui si è detto ordine). Si concludeva che non è possibile pensare di sanare il danno sul semplice piano della sicurezza, ma soltanto mettendo in campo una nuova e adeguata idea di città. In tal senso l’esito del «Guasto village» sarà decisivo, e nessuno si auguri il suo fallimento, perché in questo caso in via Zamboni potrebbe tornare l’eco di un’antica, disperata risata: quella che giusto quarant’anni fa avrebbe dovuto seppellirci.