Diritti umani, la lezione di Agnello Hornby
Simonetta Agnello Hornby questa sera sarà all’Arena del Sole per uscire dal suo ruolo di scrittrice, avvocato e giudice per salire sul palco e raccontare ai giovani cosa significa iniziare un percorso alla ricerca di un mondo migliore
Scrittrice di romanzi appassionati e appassionanti, palermitana e inglese, giudice e avvocato che si batte per i diritti dei minori e delle persone che subiscono violenza. Simonetta Agnello Hornby è tutto questo, con molte sfumature. Perciò è stata chiamata a lasciare una testimonianza ai ragazzi dello spettacolo Futuri maestri del Teatro dell’Argine, nel loro avventuroso viaggio alla ricerca di un mondo più vivibile (stasera alle 20 all’Arena del Sole).
Signora Agnello Hornby, come si racconterebbe a un giovanissimo o a qualcuno che non la conosce?
«Sono una persona normale che ha sempre cercato di adattarsi alle situazioni. Credo fortemente nella giustizia, nei diritti di tutti, uomini e donne, di razze diverse, e non ho mai avuto paura di non riuscire, un timore che può paralizzare e non farci agire per paura del fallimento».
Lei si è impegnata per i diritti dei minori e contro la violenza domestica…
«Ho lavorato al fianco di Patricia Scottland, un’avvocata nera diventata poi ministra del governo Blair. Abbiamo studiato un sistema di rapporti tra varie agenzie, statali e non, per aiutare le vittime delle violenze domestiche, con ottimi risultati, che diminuivano a un sesto i reati e abbattevano notevolmente la recidiva. Ho introdotto questo metodo all’Università Bicocca di Milano, finanziandolo con i proventi del libro Un male che si deve raccontare, scritto con Marina Calloni (Feltrinelli)».
Nata a Palermo, ha la cittadinanza inglese. Come vive questa doppia identità?
«Ho conosciuto un inglese a 17 anni, mentre ero a Cambridge. L’ho sposato a 21. In realtà io ero già duplice, siciliana e italiana: aggiungere un’altra identità non è stato difficile. Ho preso la cittadinanza britannica tardi (sono del 1945), nel 1999, quando ho capito che il Regno Unito sarebbe uscito dall’Europa. Si sentiva già la ritrosia a farne parte, e io volevo tutelare il mio lavoro».
Come è diventata scrittrice?
«Nel 2000 aspettavo un aereo a Fiumicino. Mi è venuta davanti agli occhi una storia quasi come un film, e ho scritto La Mennulara. Ho trovato un editore e poi il romanzo è stato tradotto in 24 lingue». Non scrive solo romanzi… «Ho pubblicato anche libri di memorie, di cucina, perché la cucina è la base della nostra identità. Voglio mettere sulla pagina, ora, storie di clienti. Per esempio quella di un uomo accusato ingiustamente da una psichiatra di aver fatto violenza alla figlia. Sono riuscita a dimostrare con un video che la donna mentiva. Se il mio cliente non fosse stato ricco, non avrebbe avuto i mezzi per trovare testimoni. Per questo spesso mi manda assegni per sostenere imputati poveri».
Lei è anche madrina per un turismo accessibile.
«Sono andata a verificare una spiaggia di recente con mio figlio disabile. Sono madrina di Bandiera Lilla, una rete creata per disabili e per anziani che prima o poi diventeranno poco autonomi».
Cosa suggerirà ai ragazzi di «Futuri maestri»?
«Vorrei dire che ci sono parole importanti, da curare, come giustizia, come perseveranza. Li esorterò a non arrendersi al primo intoppo, a ridere, di se stessi e di quello che vediamo, ad agire con contentezza, a essere generosi, a regalare agli altri il nostro tempo, qualcosa che facciamo. E fondamentale è la tolleranza, anche se pure essa ha i suoi limiti».
Per finire: qual è il suo libro che ama di più?
«L’ultimo, Caffè amaro. È il mio primo romanzo storico. Ho avuto tempo di fare ricerche sulla storia siciliana e italiana dal 1880 al 1945. Ho appreso tanto: ho sofferto, per esempio, quando ho scoperto gli orrori perpetrati dagli italiani in Libia nel 1912, irripetibili. È un omaggio alla mia Sicilia e alla mia patria, l’Italia. Ed è una gran bella storia d’amore».