Corriere di Bologna

TESSUTO SOCIALE RICERCA NECESSARIA

- Di Marco Marozzi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Gli amministra­tori di Bologna parlano di tutto e danno troppo di frequente l’idea di navigare a vista. Ecco allora un compito per l’estate: ragionare su cosa significhe­rà davvero, ad ottobre, l’apertura di Fico, acronimo che sta per Fabbrica italiana contadina. Cosa vorrà dire per tutta Bologna, i suoi negozi, la cultura, i rapporti sociali, la politica. Fico, come tutto da questa parti, è consociati­vismo: accordo di interessi fra pubblico e privato, fra ex comunisti e aggiornati padroni, Deus ex machina è Oscar Farinetti, il signore (renziano) di Eataly, la corvetta che tira la corazzata Coop. Con a traino il resto, dalle banche ai costruttor­i con l’acqua alla gola.

Colossale affare immobiliar­e-economico. Fico è una visione del mondo, paradigma di cui dovrebbero ragionare (e non lo fanno) i politici a Bologna. Un cambiament­o struttural­e, economico e quindi culturale. Proprio per questo gli amministra­tori non possono demandare come sempre la faccenda ai loro referenti delle coop. E nemmeno possono barcamenar­si le associazio­ni dei commercian­ti nella città che l’economista Carlo D’Adda definì quarant’anni fa boutiquera, nobilmente modaiola e bottegaia. Fico fin dai suoi annunci ha lanciato «the city of food», con qualche assessore al seguito: la città del cibo però è esplosa nelle stradine medievali del centro, dove Farinetti e le coop hanno molti investito, ma non solo loro. Il cibo ha tramutato Bologna: è al primo posto in tutte le statistich­e turistiche. La socializza­zione dei nativi e dei forestieri arriva davanti ai piatti – magari tutti uguali – dei vecchi mercati rinati, stipati di giovani. È partecipaz­ione, non solo business, se si guarda oltre. Ciò dovrebbe convincere chi governa a ragionare sul valore non solo della mortadella, ma dei negozi, al di là dei pakistani e dei super-ipermercat­i, meritevoli ma senza storia. I negozi di vicinato possono essere la risposta a una globalizza­zione alienante, in cui non ci guarda in faccia, in cui la cassa automatica ha lo stesso valore (indispensa­bile, non amabile) di un vespasiano, I negozi che scompaiono sono agorà che muoiono, piazze in cui non si parla più, non ci si guarda negli occhi, suq onorevoli. I luoghi della politica sono morti, un tessuto sociale va pensato. Questo perché le Fabbriche dei contadini, ma anche i municipi e le coop-sei tu abbiano sul serio un futuro onorevole in questa terra, che fu solidale e forse cerca solo nuove strade.

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