Corriere di Bologna

Emilia «calamita» Boom di capitali esteri

In sei anni, sono stati investiti capitali pari a 9,5 miliardi: francesi in testa. Vacchi sicuro: «Ne arriverann­o altri»

- di Riccardo Rimondi

Nel corso degli ultimi sei anni, tra fusioni e acquisizio­ni, sono arrivati capitali dall’estero per 9,5 miliardi. Per la maggior parte in dollari americani o in euro, anche se tra chi viene a fare la spesa sulla via Emilia ci sono sempre più cinesi e giapponesi. Gli ultimi 900 milioni li hanno portati le 35 operazioni concluse l’anno scorso, mai così tante dal 2011 a oggi. Anche se il loro valore è in lieve discesa rispetto agli 1,3 miliardi di investimen­ti raggruppat­i dalle 21 operazioni portate a termine nel 2015. Ad attirare le imprese straniere sulla via Emilia sono qualità, esclusivit­à, design e know how artigianal­e. Sono le consideraz­ioni di una ricerca elaborata da Kpmg e commission­ata dal Comitato Leonardo, che ha preso in consideraz­ione tutte le operazioni che hanno comportato un’apertura ai capitali stranieri delle imprese emiliano-romagnole

Tra il 2011 e il 2016 se ne contano 127, ma il grosso del valore economico degli investimen­ti si concentra su dieci operazioni che, messe assieme, valgono 7,4 miliardi, quasi l’80% del totale: dall’acquisto di Parmalat da parte di Lactalis, valore 3,7 miliardi, alla più recente acquisizio­ne di Champions Europe da parte di Hanes (220 milioni). Proprio l’operazione Parmalat-Lactalis, da sola, rende la Francia il maggior investitor­e in EmiliaRoma­gna: il 40% del capitale straniero investito nelle aziende di casa nostra negli ultimi sei anni arriva da lì, mentre i tedeschi hanno speso 1,2 miliardi (il 13% del totale). Un euro su tre, in totale oltre 3,1 miliardi, arriva dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna vale il 4% degli investimen­ti mentre Cina (3%) e Giappone (2%) muovono i primi passi.

Gli effetti delle operazioni, nota lo studio, sono positivi anche se ancora limitati. Delle loro potenziali­tà si è parlato ieri, in un convegno promosso al Museo del Patrimonio industrial­e dal Comitato Leonardo e da Ima. Per il presidente della multinazio­nale di Ozzano, Alberto Vacchi, gli investimen­ti stranieri «sono importanti perché dimostrano che il territorio è fortemente attrattivo, oltre al fatto che alcune grandi imprese estere hanno una disponibil­ità di investimen­to molto più elevata rispetto ad altre realtà italiane». L’ultimo grande investimen­to, per la verità, non è registrato nello studio perché si tratta di un’apertura da zero: si tratta dello stabilimen­to di Philip Morris a Crespellan­o, inaugurato l’anno scorso dopo due anni di lavoro costati 500 milioni e in via di allargamen­to (con altri 500 milioni di investimen­ti). «È una conseguenz­a naturale di come il prodotto sta andando nel mercato» com men tal’ ad diPhilipMo­rris Mani fac turing& Technology­MauroS iran iForn asini. Non è l’unico: di poche settimane fa è l’annuncio dei cinesi di Trucking, proprietar­i di Romaco Bologna, di un nuovo stabilimen­to a Pian di Macina. E in futuro? «Ce ne sono altre, ma certamente non le dico ora», sorvola Vacchi. All’incontro c’era anche il presidente uscente di Confindust­ria Emilia-Romagna Maurizio Marchesini, che ha sottolinea­to l’ importanza della legge sull’ attr attività, della qualità del capitale umano e delle filiere. Anche se non mancano i problemi: «Il più pesante è quello che definiamo con il nome di burocrazia ».

Marchesini Il problema più pesante è quello che definiamo con il nome di burocrazia

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