La camorra dei colletti bianchi
Arrestato un direttore di banca bolognese: riciclava i soldi sporchi dei clan campani
Il tesoro della camorra, accumulato con truffe, usura e speculazioni, riciclato in Emilia-Romagna grazie alla complicità di colletti bianchi nostrani. Nella maxi operazione della Dda di Napoli, che ha portato la Finanza al sequestro di circa 1.200 immobili, di cui almeno un centinaio in regione, è finito in manette anche un direttore di banca bolognese. E un’altra bancaria bolognese è indagata a piede libero.
L’arrestato è Domenico Sangiorgi, fino al 2013 alla guida della filiale bolognese della Cassa di Risparmio di Ravenna: era lui, per la Finanza, a favorire il riciclaggio dei guadagni della camorra grazie al suo rapporto con Antonio Passarelli, affiliato al clan Puca e finito anche lui in manette.
Speculazioni immobiliari, truffe alle assicurazioni, usura: un patrimonio milionario frutto degli affari illeciti della camorra veniva «ripulito» e reimpiegato in Emilia-Romagna. Le Fiamme gialle, su disposizione della Dda di Napoli, hanno messo i sigilli a beni mobili, immobili, conti correnti per un totale di 700 milioni di euro. Sedici ordinanze di custodia cautelare, di cui 12 in carcere, sono state eseguite nei confronti di altrettanti affiliati a diversi clan, che in Emilia-Romagna potevano contare sulla preziosa complicità di un direttore di banca, accusato di aver agevolato una serie di operazioni finanziarie volte al riciclaggio dei soldi sporchi. Si tratterebbe di Domenico Sangiorgi, 59enne di Faenza, fino al 2013 direttore della filiale bolognese della Cassa di Risparmio di Ravenna e poi passato a Rimini, «l’anello debole» nel sistema bancario che ha permesso di ripulire i capitali illeciti grazie al suo rapporto con Antonio Passarelli, affiliato al clan Puca. Entrambi sono in carcere con l’accusa di associazione mafiosa, riciclaggio e altri reati legati ad attività economico-finanziarie criminali. Un’altra indagata, Lea Monari, direttrice della Cassa di risparmio di Firenze a San Giovanni in Persiceto fino al 2009 e prima della Popolare di Lodi a Funo di Argelato, è accusata solo di riciclaggio perché, pur avendo contribuito a cambiare copiosi assegni eludendo le norme antiriciclaggio, dalle indagini è sembrata essere all’oscuro dell’affiliazione del cliente Passarelli.
L’operazione, denominata «Omphalos» cioè ombelico, ha sventato un gruppo criminale legato a 7 diversi clan camorristici, tutti noti e pericolosi (i Mallardo, i Di Lauro, i Puca, gli Aversano, gli scissionisti, i Verde e i Perfetto) che operano in varie regioni (Emilia-Romagna, Lazio, Umbria, Abruzzo, Sardegna e Lombardia) ma hanno base operativa in Campania. Un gruppo trasversale che favoriva gli interessi di diversi clan, spesso in guerra nei territori d’appartenenza, ma che quando si trattava di ripulire i soldi si rivolgevano agli stessi colletti bianchi e professionisti, tra cui il commercialista napoletano Antimo Castiglione. Sono in tutto 57 gli indagati, circa 1.200 gli immobili sequestrati: oltre un centinaio quelli in regione, anche se i sequestri proseguono e la cifra è destinata ad aumentare. C’è anche un complesso immobiliare nel Ravennate e una società (la Das srl) in via del Battiferro a Bologna. Le indagini del nucleo di polizia tributaria di Bologna, con l’ausilio dei colleghi di Napoli, nascono da un’altra inchiesta che aveva portato anni fa al sequestro di un complesso edilizio abusivo a Melito, in provincia di Napoli. Indagando sugli imprenditori soci di quella speculazione, la Guardia di finanza mette il naso tra i conti di Antonio Passarelli, Carmine e Gennaro Chianese e si accorge che non solo avevano disponibilità finanziarie e patrimoniali spropositate, ma che Passarelli veniva troppo spesso a Bologna. Perché qui aveva trovato la preziosa connivenza di Sangiorgi, che, scrive la Procura di Napoli, «era perfettamente consapevole dell’apporto che andava a fornire all’associazione camorristica».
Eclatanti le conversazioni intercettate in cui il bancario avvisava Passarelli degli accertamenti disposti dalla magistratura sui conti intestati a lui e al suo sodale Francesco Ciccarelli. Intercettazioni, pedinamenti, ricostruzioni dei flussi finanziari hanno permesso di dimostrare che quei soldi arrivavano in realtà dagli affari illeciti dei clan: truffe alle assicurazioni soprattutto, commesse con la complicità di periti e medici, ma anche usura. Soldi poi reimpiegati e ripuliti in investimenti immobiliari, speculazioni edilizie e conferimenti in società. «L’operazione — ha detto la presidente dell’Assemblea regionale, Simonetta Saliera — dimostra che attenzione e impegno contro la mafia non sono mai troppi».