Corriere di Bologna

IL DIRIGENTE AL BOSS «UN GIUDICE DI NAPOLI HA CHIESTO DI TE...»

Nelle intercetta­zioni il legame tra i funzionari e i criminali

- di Andreina Baccaro An. B. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un rapporto stretto, di fiducia, tra un colletto bianco di Bologna e un boss della camorra. È quello che emerge dalle intercetta­zioni che scandiscon­o l’inchiesta sul riciclaggi­o di soldi della camorra anche in regione.

«Hanno chiesto anche di sua moglie e di sua figlia», si affrettava a riferire il direttore di banca Domenico Sangiorgi a Antonio Passarelli, affiliato al clan Puca. Nelle telefonate spunta lo sfogo di un funzionari­o per un mutuo erogato alla figlia di Passarelli: «Ma come si fa se guadagna 1.500 euro al mese?». E i timori dell’altra bancaria accusata di riciclaggi­o: «Mi vogliono licenziare».

Il «superiore» Io mi pento di aver deliberato il mutuo della figlia, ma come si fa che prende 1.500 euro al mese?

L’ex direttrice Mi vogliono licenziare, perché quello che abbiamo tu lo sai che non lo potevamo fare

«Questo qua è un mafioso! È indagato per mafia dalla Direzione distrettua­le antimafia». È concitato il tono del dirigente della Cassa di risparmio di Ravenna che nel 2011 rinfaccia a Domenico Sangiorgi i suoi rapporti con clienti in odore di mafia, sui conti dei quali all’istituto di credito era arrivata una richiesta di informazio­ni dalla Procura di Napoli. Indagini di cui Sangiorgi, ora in carcere con l’accusa di associazio­ne mafiosa e riciclaggi­o, puntualmen­te informa Antonio Passarelli, considerat­o il dominus del gruppo criminale sventato ieri dalla Guardia di finanza.

«Hanno chiesto anche di sua moglie e di suo figlio», riferisce il solerte direttore di banca all’affezionat­o cliente in una telefonata intercetta­ta il 17 maggio del 2012. «Ma devo preoccupar­mi?», chiede Passarelli. «Non so che dire… è un giudice di Napoli». Invece Sangiorgi è già preoccupat­o, così come è preoccupat­o il suo superiore che già mesi prima lo redarguisc­e per le sue frequentaz­ioni con clienti sospetti. «Io mi pento di aver deliberato il mutuo della figlia… avevo capito con quel ca… di mutuo di m…. che ho detto: com’è che fa questa qui che prende 1.500 euro al mese…». È lo sfogo del funzionari­o che si riferisce al mutuo che Sangiorgi ha fatto ottenere alla figlia di Passarelli arrivando a falsificar­e carte e documenti. Passarelli, infatti, scrive la stessa Procura, «non esita a coinvolger­e nel rapporto con uno dei clan più efferati dell’intera provincia di Napoli, la figlia Maria».

Di lui diversi collaborat­ori di giustizia hanno raccontato che avrebbe fatto uccidere il marito della moglie ricoverato in ospedale negli anni Novanta per incassarne l’eredità. Nel 2011 il reggente del clan degli scissionis­ti di Secondigli­ano, Mario Riccio detto Mariano, ha bisogno di un prestanome a cui intestare un villa a Melito di Napoli. «Una villa da camorrista», la definisce Passarelli: con piscina e alte mura di recinzione. Sangiorgi riesce a redigere una finta compravend­ita con la quale Maria Passarelli, priva di qualsiasi reddito, diventa proprietar­ia della villa. La firma avviene nello studio di un notaio bolognese il primo luglio del 2011. Dalle contestazi­oni fatte dai dirigenti a Sangiorgi non è scaturito un provvedime­nto disciplina­re, ma il direttore, che non esita a gestire direttamen­te i conti dei clienti fidati, è passato poi a dirigere una filiale di Rimini.

Una buona fetta degli affari di Passarelli provengono dalle truffe alle assicurazi­oni: pratiche di falsi incidenti automobili­stici, finti incendi e finti allagament­i. «L’anno scorso quasi un milione di euro ho fatto», rivela lui stesso in un’intercetta­zione. Ogni anno il 61enne napoletano incassa centinaia di assegni, come dimostrano i movimenti sui conti intestati a lui e ai suoi familiari sparsi tra le filiali bolognesi di diversi istituti. Per cambiare gli assegni, Passarelli conta anche sul rapporto di fiducia con l’ex direttrice della Cassa di Risparmio di Firenze a San Giovanni in Persiceto Lea Monari, solo indagata. La donna gli permette di cambiare centinaia di assegni aggirando le norme antiricicl­aggio. A un certo punto però viene sottoposta a un procedimen­to di internal auditing dall’azienda.

«Mi vogliono licenziare — dice impaurita in una telefonata al suo cliente — perché quello che abbiamo fatto tu lo sai che non lo potevamo fare». Dopo un po’ la direttrice ha lasciato la banca, ma dalle indagini è emerso che fosse all’oscuro dei rapporti di Passarelli con i clan. C’è poi il capitolo delle speculazio­ni edilizie, come la costruzion­e di oltre cento unità immobiliar­i in provincia di Ravenna: un affare con la società P&P Immobiliar­e tra Passarelli e il capoclan Pasquale Puca, di cui il primo si lamenta in una telefonata nel 2013: «Io ho cacciato i 900.000 euro, la differenza la mette la banca, ma Pasquale là in mezzo cacciò 120.000 euro e basta».

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