IL DIRIGENTE AL BOSS «UN GIUDICE DI NAPOLI HA CHIESTO DI TE...»
Nelle intercettazioni il legame tra i funzionari e i criminali
Un rapporto stretto, di fiducia, tra un colletto bianco di Bologna e un boss della camorra. È quello che emerge dalle intercettazioni che scandiscono l’inchiesta sul riciclaggio di soldi della camorra anche in regione.
«Hanno chiesto anche di sua moglie e di sua figlia», si affrettava a riferire il direttore di banca Domenico Sangiorgi a Antonio Passarelli, affiliato al clan Puca. Nelle telefonate spunta lo sfogo di un funzionario per un mutuo erogato alla figlia di Passarelli: «Ma come si fa se guadagna 1.500 euro al mese?». E i timori dell’altra bancaria accusata di riciclaggio: «Mi vogliono licenziare».
Il «superiore» Io mi pento di aver deliberato il mutuo della figlia, ma come si fa che prende 1.500 euro al mese?
L’ex direttrice Mi vogliono licenziare, perché quello che abbiamo tu lo sai che non lo potevamo fare
«Questo qua è un mafioso! È indagato per mafia dalla Direzione distrettuale antimafia». È concitato il tono del dirigente della Cassa di risparmio di Ravenna che nel 2011 rinfaccia a Domenico Sangiorgi i suoi rapporti con clienti in odore di mafia, sui conti dei quali all’istituto di credito era arrivata una richiesta di informazioni dalla Procura di Napoli. Indagini di cui Sangiorgi, ora in carcere con l’accusa di associazione mafiosa e riciclaggio, puntualmente informa Antonio Passarelli, considerato il dominus del gruppo criminale sventato ieri dalla Guardia di finanza.
«Hanno chiesto anche di sua moglie e di suo figlio», riferisce il solerte direttore di banca all’affezionato cliente in una telefonata intercettata il 17 maggio del 2012. «Ma devo preoccuparmi?», chiede Passarelli. «Non so che dire… è un giudice di Napoli». Invece Sangiorgi è già preoccupato, così come è preoccupato il suo superiore che già mesi prima lo redarguisce per le sue frequentazioni con clienti sospetti. «Io mi pento di aver deliberato il mutuo della figlia… avevo capito con quel ca… di mutuo di m…. che ho detto: com’è che fa questa qui che prende 1.500 euro al mese…». È lo sfogo del funzionario che si riferisce al mutuo che Sangiorgi ha fatto ottenere alla figlia di Passarelli arrivando a falsificare carte e documenti. Passarelli, infatti, scrive la stessa Procura, «non esita a coinvolgere nel rapporto con uno dei clan più efferati dell’intera provincia di Napoli, la figlia Maria».
Di lui diversi collaboratori di giustizia hanno raccontato che avrebbe fatto uccidere il marito della moglie ricoverato in ospedale negli anni Novanta per incassarne l’eredità. Nel 2011 il reggente del clan degli scissionisti di Secondigliano, Mario Riccio detto Mariano, ha bisogno di un prestanome a cui intestare un villa a Melito di Napoli. «Una villa da camorrista», la definisce Passarelli: con piscina e alte mura di recinzione. Sangiorgi riesce a redigere una finta compravendita con la quale Maria Passarelli, priva di qualsiasi reddito, diventa proprietaria della villa. La firma avviene nello studio di un notaio bolognese il primo luglio del 2011. Dalle contestazioni fatte dai dirigenti a Sangiorgi non è scaturito un provvedimento disciplinare, ma il direttore, che non esita a gestire direttamente i conti dei clienti fidati, è passato poi a dirigere una filiale di Rimini.
Una buona fetta degli affari di Passarelli provengono dalle truffe alle assicurazioni: pratiche di falsi incidenti automobilistici, finti incendi e finti allagamenti. «L’anno scorso quasi un milione di euro ho fatto», rivela lui stesso in un’intercettazione. Ogni anno il 61enne napoletano incassa centinaia di assegni, come dimostrano i movimenti sui conti intestati a lui e ai suoi familiari sparsi tra le filiali bolognesi di diversi istituti. Per cambiare gli assegni, Passarelli conta anche sul rapporto di fiducia con l’ex direttrice della Cassa di Risparmio di Firenze a San Giovanni in Persiceto Lea Monari, solo indagata. La donna gli permette di cambiare centinaia di assegni aggirando le norme antiriciclaggio. A un certo punto però viene sottoposta a un procedimento di internal auditing dall’azienda.
«Mi vogliono licenziare — dice impaurita in una telefonata al suo cliente — perché quello che abbiamo fatto tu lo sai che non lo potevamo fare». Dopo un po’ la direttrice ha lasciato la banca, ma dalle indagini è emerso che fosse all’oscuro dei rapporti di Passarelli con i clan. C’è poi il capitolo delle speculazioni edilizie, come la costruzione di oltre cento unità immobiliari in provincia di Ravenna: un affare con la società P&P Immobiliare tra Passarelli e il capoclan Pasquale Puca, di cui il primo si lamenta in una telefonata nel 2013: «Io ho cacciato i 900.000 euro, la differenza la mette la banca, ma Pasquale là in mezzo cacciò 120.000 euro e basta».