Siamo nel solito minestrone «made in Bo»
Ancora una volta, a farne le spese, è la musica. Non è la prima volta che accade nella città che l’Unesco ha nominato come capitale europea della musica. Un destino preoccupante. Lo dimostra la storia della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna. Ridiscutere una convenzione non libererà mai dall’anomalia che ne ha accompagnato la nascita, che risale a oltre dieci anni fa, all’epoca della sovrintendenza di Marco Tutino. Al tempo il nuovo organismo fu presentato richiamandosi al prestigioso modello della Filarmonica della Scala, nata negli anni Ottanta sotto l’egida di Claudio Abbado. Ma ci si dimenticò di rammentare quanto fosse stato determinante, in quel caso, l’apporto privato, a sostenere di una intera stagione di concerti della Filarmonica della Scala regolarmente trasmessi sulle reti Finivest. Insomma, tutta un’altra storia. L’anomalia bolognese risultava dunque subito lampante. Con il miraggio di chissà quali ricavi, i musicisti dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna – aka Filarmonica – si sono prestati all’arrembaggio di direttori d’orchestra di assoluta modestia, bacchette interessate a fregiarsi del titolo di «direttore musicale» della Filarmonica di un teatro prestigioso. Non era accaduto così a Milano. Certo, perfino i Wiener Philharmoniker e altre blasonate orchestre hanno accettato per una volta di venire diretti da Gilbert Kaplan, un milionario americano con la passione per Mahler, pronto a ricambiare il favore con ricchissime elargizioni. Ma non è un buon precedente. È pure capitato che i direttori d’orchestra ospiti della Filarmonica surclassassero per qualità parecchi direttori prescelti dalle passate e attuali dirigenze del Teatro Comunale. Ma l’anomalia di aver creato un doppione superfluo non si cancella. L’anomalia è resa ancor più pesante, considerando il fatto che, rispetto al modello scaligero, è sempre stato sdoppiato il ruolo del direttore musicale del Teatro e della Filarmonica - e per le ragioni appena illustrate. Si diceva che a farne la spese, a Bologna, è troppo spesso la musica. A confermarlo è una ridda di dichiarazioni disorientanti. Come cercare di vedere il fondo di una pentola attraverso uno spesso strato di minestrone. Ancora una volta a farne le spese è la musica.