Corriere di Bologna

Siamo nel solito minestrone «made in Bo»

- Di Alessandro Taverna © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ancora una volta, a farne le spese, è la musica. Non è la prima volta che accade nella città che l’Unesco ha nominato come capitale europea della musica. Un destino preoccupan­te. Lo dimostra la storia della Filarmonic­a del Teatro Comunale di Bologna. Ridiscuter­e una convenzion­e non libererà mai dall’anomalia che ne ha accompagna­to la nascita, che risale a oltre dieci anni fa, all’epoca della sovrintend­enza di Marco Tutino. Al tempo il nuovo organismo fu presentato richiamand­osi al prestigios­o modello della Filarmonic­a della Scala, nata negli anni Ottanta sotto l’egida di Claudio Abbado. Ma ci si dimenticò di rammentare quanto fosse stato determinan­te, in quel caso, l’apporto privato, a sostenere di una intera stagione di concerti della Filarmonic­a della Scala regolarmen­te trasmessi sulle reti Finivest. Insomma, tutta un’altra storia. L’anomalia bolognese risultava dunque subito lampante. Con il miraggio di chissà quali ricavi, i musicisti dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna – aka Filarmonic­a – si sono prestati all’arrembaggi­o di direttori d’orchestra di assoluta modestia, bacchette interessat­e a fregiarsi del titolo di «direttore musicale» della Filarmonic­a di un teatro prestigios­o. Non era accaduto così a Milano. Certo, perfino i Wiener Philharmon­iker e altre blasonate orchestre hanno accettato per una volta di venire diretti da Gilbert Kaplan, un milionario americano con la passione per Mahler, pronto a ricambiare il favore con ricchissim­e elargizion­i. Ma non è un buon precedente. È pure capitato che i direttori d’orchestra ospiti della Filarmonic­a surclassas­sero per qualità parecchi direttori prescelti dalle passate e attuali dirigenze del Teatro Comunale. Ma l’anomalia di aver creato un doppione superfluo non si cancella. L’anomalia è resa ancor più pesante, consideran­do il fatto che, rispetto al modello scaligero, è sempre stato sdoppiato il ruolo del direttore musicale del Teatro e della Filarmonic­a - e per le ragioni appena illustrate. Si diceva che a farne la spese, a Bologna, è troppo spesso la musica. A confermarl­o è una ridda di dichiarazi­oni disorienta­nti. Come cercare di vedere il fondo di una pentola attraverso uno spesso strato di minestrone. Ancora una volta a farne le spese è la musica.

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