FRANKENSTEIN JR. IMPERDIBILE MEL BROOKS
Stasera per la rassegna «Sotto le stelle del cinema» la proiezione del film cult, realizzato dal cineasta nel ‘74, con Gene Wilder e Marty Feldman. Il lavoro del regista si ispira all’horror che James Whale trasse dal romanzo di Mary Shelley
È bene arrivare presto, portarsi amici, qualcosa, e armarsi di pazienza, stasera. Perché uno dei film più attesi di Sotto del Stelle del Cinema è un classicone tra i cult, Frankenstein Junior di Mel Brooks, con Gene Wilder (ore 21.45). E se l’immagine scelta per rappresentare l’intera rassegna estiva della Cineteca composta di 55 film è proprio di questo capolavoro del 1974, con gli occhi incredibili di Marty Feldman – Igor in primo piano, vuol dire che il titolo non teme proprio rivali. Del resto è tra i più amati al mondo. Il film si ispira all’horror che James Whale trasse dal romanzo di Mary Shelley. Quasi un’ossessione, per Brooks, che raccontò la genesi del suo lavoro. Il primo avvicinamento fu terrificante per il regista statunitense. «Avevo cinque anni quando nel 1931 uscì il Frankenstein di James Whale. L’estate successiva il film arrivò anche nel cinema di Williamsburg e il mio fratellone Bernie mi portò a vederlo. Rimasi davvero terrorizzato». Ci vollero molto tempo perché prendesse in mano l’idea. «Più di quarant’anni dopo, quando ormai ero un poco meno impressionabile, il film di Whale avrebbe ispirato me e Gene Wilder per Frankenstein Junior. Decidemmo di fare un perfetto film d’epoca, con tutta la maestria dei film degli anni Trenta di James Whale. E, naturalmente, questa volta con l’aggiunta delle risate. Speravo che Frankenstein Junior desse al pubblico il medesimo trasporto che avevo sperimentato al buio della sala di Williamsburg». Frankenstein Junior in effetti fa ridere e parecchio. Come nelle migliori commedie di Mel Brooks. Però il film è molto di più. Come ha scritto il critico Paolo Mereghetti, questa è «la migliore e più divertente parodia dei classici dell’orrore, prende in giro con ironia, leggerezza e un po’ di simpatica volgarità i luoghi comuni del brivido. Indimenticabili i giochi linguistici («lupo ulu-là, castello ulu-lì»), la gobba di Igor che si sposta da destra a sinistra, il terrore che la domestica, Frau Blucher, sa trasmettere agli animali col suo solo nome». Ha preso di mira
Frankenstein (1931) e Bride of Frankenstein (1935) di James Whale, i più influenti horror americani di quegli anni. Lo ha fatto usando sapientemente la fotografia in bianco e nero, ricorrendo a espedienti visivi datati ed effetti speciali ovvi. Lo ha fatto con la musica. Ha girato nello stesso castello di Frankenstein, affittandone il laboratorio originale, con tutte le scariche di elettricità incluse. E ci ha restituito un film che è non solo la parodia di un repertorio, ma anche di uno stile. Con estremo rigore e controllo. Rimanendo fedele all’originale che ha parodiato senza pietà.