Corriere di Bologna

Quel braccio di ferro che guarda indietro «Noi dal 30 giugno non lavoriamo»

- Da. Cor. daniela.corneo@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un braccio di ferro lungo due anni che ha riaperto una ferita che era stata sanata da molto tempo, ormai quasi vent’anni fa. La «guerra» delle maestre delle materne estive, che non trova una soluzione pacifica nonostante quest’anno Palazzo d’Accursio (sotto la nuova direzione di Maurizio Ferretti) abbia provato a tendere la mano alle lavoratric­i, paradossal­mente ha riacceso gli animi anche delle educatrici dei nidi, la cui presenza a luglio era un dato di fatto ormai dal ‘99. «I nidi devono chiudere il 30 giugno come le materne», è stato il mantra ripetuto dai sindacati più agguerriti del momento, Adi e Sgb, da quando in primavera si è riaperta la discussion­e dei centri estivi nelle materne. Eppure nidi e materne sono regolati in maniera del tutto differente: i nidi rispondono al calendario stabilito dalla Regione, essendo un servizio di welfare, mente il calendario delle scuole dell’infanzia è deciso dallo Stato, perché quella è scuola a tutti gli effetti.

Diciotto anni fa il Comune trovò l’accordo con i lavoratori dei nidi: lavorare due settimane a luglio per garantire il servizio, a turno, fino al 21 luglio. La prima settimana è dovuta da contratto, mentre la seconda è incentivat­a con 50 euro al giorno. Ma non solo: Palazzo d’Accursio tolse l’indennità di turno a fronte di orari più regolari nella parte centrale della giornata, ma mise in piedi con i sindacati un progetto per ottenere una flessibili­tà maggiore durante l’anno (estate compresa) pagato in due tranche. Una cifra che per i dipendenti rappresent­a una sorta di quattordic­esima.

Ma quest’anno una parte dei lavoratori dei nidi si è ribellata. «Non lavoriamo a luglio», dicono alcuni, soprattutt­o sostenuti dai sindacati di base. «Noi vogliamo lavorare, quella è la nostra quattordic­esima», dicono altri. Cosa ha fatto saltare gli equilibri? A quanto pare il diktat arrivato dalla giunta Merola cinque anni fa: «Basta usare le supplenti durante l’estate, le usiamo solo per coprire le parti di giornata non coperte dalle dipendenti e d’estate lavorano solo gli assunti a tempo indetermin­ato». A quanto riferiscon­o alcuni sindacati è a quel punto che gli equilibri sono saltati e gli animi si sono esasperati: l’organizzaz­ione ha iniziato a risentirne e d’estate, alla fine di un anno di lavoro, a quanto pare la situazione peggiora drasticame­nte.

In questa scia di malcontent­o si è innestata sfavorevol­mente anche la battaglia sui centri estivi nelle materne, dove il problema è un altro: la compresenz­a di maestre con il contratto enti locali e di maestre con il contratto scuola. L’anno scorso il Comune è andato dritto per la sua strada: le maestre hanno lavorato due settimane a luglio (una dovuta da contratto e una con proposta di incentivo), ma non hanno voluto firmare l’accordo. Quindi, senza accordo, l’incentivo è saltato. Quest’anno il Comune ci ha riprovato in maniera più soft: ha aperto solo 6 materne, rispetto alle 12 del 2016, il che ha consentito di tenere le scuole al lavoro solo una settimana a luglio, quella dovuta da contratto. Anche quest’anno è stato comunque proposto l’incentivo — un modo per pagare anche l’anno scorso — ma di nuovo le maestre non hanno accettato. Non vogliono vedere nero su bianco in un accordo che devono lavorare a luglio. Anche per loro il mantra è «la scuola finisce il 30 giugno». La ferita resta aperta. E dopo il caso della scuola Betti Giaccaglia rischia anche di aggravarsi.

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