Corriere di Bologna

L’Appennino cerca il rilancio

Aziende che chiudono, territori che rischiano di spopolarsi, meno turisti Ma c’è chi ha trovato una strada. Puntando su natura, benessere e cibo

- Francesca Candioli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Il mondo si è rimesso a camminare, e molta gente viene da noi e scopre un’Italia minore»

Nella terra, dove dall’inizio della crisi tutto è cambiato, l’unica speranza oggi si chiama turismo. Meglio se sostenibil­e, dove escursioni, percorsi enogastron­omici e cultura s’accoppiano in una proposta unica che manda in pensione i vecchi modelli di un tempo, legati solo alla neve, alle terme e alla villeggiat­ura. Modi diversi di vivere l’Appennino che se, fino ad undici anni fa, registrava­no numeri da record, con oltre 99 mila arrivi e quasi 28 mila presenze, oggi non tirano più. Nel 2016, rispetto all’anno in cui l’Italia ha vinto il suo ultimo mondiale, i turisti che hanno fatto il check-in almeno in una struttura ricettiva sono diminuiti del 38%, mentre il numero delle notti trascorse sotto le stelle della montagna bolognese si sono dimezzate. E nel frattempo anche l’Appennino è cambiato: da fiorente distretto industrial­e si è trasformat­o nel luogo dal quale tutti se ne vogliono andare. L’emigrazion­e è continua e struttural­e: se ne vanno i dipendenti delle fabbriche che un tempo davano lavoro a centinaia di famiglie, come gli ultimi 239 operai della Saeco di Gaggio Montano che sperano di essere presto ricollocat­i. O i coraggiosi 84 operai della Stampi Group di Monghidoro, rimasti in presidio per 259 giorni. Con loro fuggono anche insegnanti, giovani e famiglie.

«Se non riusciamo a garantire i servizi scolastici, qui non verrà più nessuno a vivere e lavorare. I nostri territori rischiano di spopolarsi». È questo il grido d’allarme e di chi la montagna bolognese l’amministra da tempo. Ma se tutti scappano, c’è anche chi arriva. Negli ultimi anni, anche se i dati sono ancora negativi rispetto agli anni pre crisi, si sta assistendo al ritorno di chi l’Appennino lo sceglie invece per rilassarsi. È il popolo dei turisti, soprattutt­o italiani e mordi e fuggi, che stanno tornando a frequentar­e la montagna. E così se i villeggian­ti diminuisco­no, aumentano gli escursioni­sti. «Sicurament­e i tempi d’oro sono ancora lontani» — spiega Stefano Lorenzi, direttore di Appennino Slow —, «ma ci sono zone dell’Appennino che oggi vanno meglio di altre. Tutta la via degli Dei, la Valsamoggi­a e l’Imolese stanno andando molto bene. Se se i dati positivi non si vedono ancora, per ora si parla di un aumento di presenze intorno al 7-8%. In tutte queste aree sta esplodendo il turismo legato al benessere: il mondo si è rimesso a camminare, e molta gente sta venendo da noi alla scoperta di quell’Italia minore, dove fare un’escursione costa meno ».

Ma oltre agli arrivi e alle notti trascorse dai viaggiator­i, l’anno scorso è diminuito anche il numero di strutture ricettive: nel 2016 sono aumentate del 23% rispetto al 2015, ma dopo diversi anni di crescita continua oggi sono tornate agli stessi livelli del 2010 con 119 realtà ospitanti e 2766 posti letto (-7%). «Ci sono però aree, come il Corno alle Scale o la zona di Porretta Terme, dove si fa più fatica ad invertire la rotta: qui i numeri sono più negativi. Il mercato delle seconde case è in crisi e gli stranieri non vanno nelle strutture vecchie, ma preferisco­no frequentar­e chi propone servizi in linea con i trend del momento. Il business del turismo legato alla terza età è letteralme­nte crollato e qui, dove si veniva un tempo in villeggiat­ura, ora al massimo si arriva e si torna a casa in giornata». Ma se l’estate 2017 si allineerà più o meno con i dati di quella del 2016 con quasi 28 mila arrivi e 6500 presenze, chi non sarà in grado di stare al passo con i cambiament­i del mercato il prossimo anno rischia già di scomparire. «Stiamo pagando gli effetti delle politiche del passato che privilegia­vano solo un certo tipo di turismo. Oggi stiamo cercando di vendere un altro tipo di montagna, i risultati si vedranno solo fra qualche anno. Bisogna resistere ancora un po’».

Speranze

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