No panic Ma i problemi stanno in alto
Èinutile andare a cercare i problemi nello spogliatoio del Bologna. I giocatori sono stati acquistati dalla dirigenza e vengono messi in campo dall’allenatore ed entrambi — dirigenti e tecnico — sono lì perché ce li ha messi Joey Saputo. E nonostante le critiche, i risultati non eccezionali, i problemi di contorno negli uffici tra marketing e altro, il chairman non ha tolto la fiducia all’amministratore delegato Claudio Fenucci e ha rinnovato il contratto a Roberto Donadoni. Quindi è al campanello di Montreal che bisogna suonare per avere spiegazioni di un mercato avaro, di un progetto sportivo che senta a decollare (ammesso che esista, e non è un dubbio di facciata) e di una serie di problematiche trasversali al club e all’area tecnica.
È curioso, se non sorprendente, che un patron interessato a progetti di rafforzamento strutturale (stadio, eccetera) presti il fianco sul piano sportivo. Buon senso vorrebbe che se la squadra vince, o almeno si lascia guardare, nessuno contesta, nessuno discute di altre questioni (comprese quelle interne, che non sono mica evaporate al caldo dell’estate...) e tutti parlano di pallone. Quale migliore biglietto da visita dei risultati positivi esiste per il proprietario di un club? Eppure, ancora una volta, tocca registrare che l’andamento sportivo del Bologna è l’ultimo degli interessi del suo proprietario e dei suoi dirigenti.
Si può ragionevolmente chiedere conto a Donadoni, responsabile tecnico rossoblù, dei risultati scadenti. Per battere il Cittadella imbottito di riserve non è necessario schierare Cristiano Ronaldo, se la squadra è organizzata, dotata di un minimo di personalità, equilibrata, motivata. Tutto ciò che, ad oggi, il Bologna non è. Altrettanto si può dire che Donadoni ha schierato l’undici titolare, non s’è inventato una formazione astrusa frutto di una serata in enoteca. E se quelli sono i titolari, scoppiati appena rimasti in dieci, squagliati come neve al sole, sgangherati come una squadra da bar, auguri.
La realtà è che c’è tempo per rimediare, in campo e sul mercato. Non è morto nessuno. Ma non si può pensare che i risultati arrivino dal cielo: sono frutto di una società che funziona, che investe (bene) risorse adeguate ad averlo, un progetto. Sono l’epilogo di un lavoro ordinato e competente. Il Bologna ora è povero di talento, di fame, di forza. Forse è povero di tutto. Si dia una svolta.