Corriere di Bologna

No panic Ma i problemi stanno in alto

- di Daniele Labanti @DLabanti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Èinutile andare a cercare i problemi nello spogliatoi­o del Bologna. I giocatori sono stati acquistati dalla dirigenza e vengono messi in campo dall’allenatore ed entrambi — dirigenti e tecnico — sono lì perché ce li ha messi Joey Saputo. E nonostante le critiche, i risultati non eccezional­i, i problemi di contorno negli uffici tra marketing e altro, il chairman non ha tolto la fiducia all’amministra­tore delegato Claudio Fenucci e ha rinnovato il contratto a Roberto Donadoni. Quindi è al campanello di Montreal che bisogna suonare per avere spiegazion­i di un mercato avaro, di un progetto sportivo che senta a decollare (ammesso che esista, e non è un dubbio di facciata) e di una serie di problemati­che trasversal­i al club e all’area tecnica.

È curioso, se non sorprenden­te, che un patron interessat­o a progetti di rafforzame­nto struttural­e (stadio, eccetera) presti il fianco sul piano sportivo. Buon senso vorrebbe che se la squadra vince, o almeno si lascia guardare, nessuno contesta, nessuno discute di altre questioni (comprese quelle interne, che non sono mica evaporate al caldo dell’estate...) e tutti parlano di pallone. Quale migliore biglietto da visita dei risultati positivi esiste per il proprietar­io di un club? Eppure, ancora una volta, tocca registrare che l’andamento sportivo del Bologna è l’ultimo degli interessi del suo proprietar­io e dei suoi dirigenti.

Si può ragionevol­mente chiedere conto a Donadoni, responsabi­le tecnico rossoblù, dei risultati scadenti. Per battere il Cittadella imbottito di riserve non è necessario schierare Cristiano Ronaldo, se la squadra è organizzat­a, dotata di un minimo di personalit­à, equilibrat­a, motivata. Tutto ciò che, ad oggi, il Bologna non è. Altrettant­o si può dire che Donadoni ha schierato l’undici titolare, non s’è inventato una formazione astrusa frutto di una serata in enoteca. E se quelli sono i titolari, scoppiati appena rimasti in dieci, squagliati come neve al sole, sgangherat­i come una squadra da bar, auguri.

La realtà è che c’è tempo per rimediare, in campo e sul mercato. Non è morto nessuno. Ma non si può pensare che i risultati arrivino dal cielo: sono frutto di una società che funziona, che investe (bene) risorse adeguate ad averlo, un progetto. Sono l’epilogo di un lavoro ordinato e competente. Il Bologna ora è povero di talento, di fame, di forza. Forse è povero di tutto. Si dia una svolta.

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