«Come sarà la vita in carcere»? Il branco di Rimini al Pratello
Le domande agli agenti, i tentativi di scagionarsi. «Pentiti? Non ancora»
Dentro il carcere del Pratello, i tre minorenni, due maroc- chini e un nigeriano, arrestati per il doppio stupro di Rimini chiedono: «Com’è la vita in carcere». Sanno che ci andranno, «ma il pentimento è un processo lungo», avvisano gli operatori.
«Non è vero che stavo scappando», dice il 16enne accusato di essere il terzo minorenne della banda di stupratori di Rimini mentre guarda i telegiornali. Lui e i due fratelli di origini marocchine, che per primi hanno confessato l’orrore della notte tra il 25 e il 26 agosto sulla spiaggia di Miramare, hanno trascorso le ultime 48 ore insieme, nelle celle del centro di prima accoglienza del carcere minorile del Pratello. Complici e preoccupati per ciò che li aspetta: sanno che da oggi per loro si apriranno le porte del carcere, ma i due fratelli ancora non immaginano che verranno separati.
Erano le 6 di domenica mattina quando loro, i primi due del branco a parlare, 15 e 17 anni nati in Italia da genitori marocchini, sono arrivati in via del Pratello. Qualche ora dopo li ha raggiunti anche il terzo minorenne, di origini nigeriane ma nato in Italia anche lui. Hanno trascorso la notte di sabato a raccontare e mettere a verbale davanti al pm dei minori Silvia Marzocchi la loro versione dei fatti e le parziali ammissioni. Ieri mattina, poi, ognuno di loro ha potuto parlare con la psicologa dell’istituto minorile ed è stato visitato dal medico, come da procedura. Chiunque li ha incrociati, come del resto avevano già spiegato gli inquirenti, non ha potuto non rimanere stupito dalle corporature esili, dall’ingenuità sul volto tipica della loro età, che stride con il ritratto di feroci aguzzini che hanno violentato e picchiato due donne in una sola notte. Così come stride con la decisione di confessare l’assenza, almeno per ora, nei tre giovanissimi di alcun segno di pentimento.
«Sbagliamo noi adulti — spiega chi nella giustizia minorile ci lavora — a cercare così presto nella mente di un adolescente la consapevolezza di aver commesso un crimine così orrendo. Se l’avessero non l’avrebbero neanche fatto». «Com’è il carcere? Che ambiente c’è là dentro?», avrebbero chiesto i tre minorenni, consapevoli che i genitori «non hanno soldi per aiutarci». Ieri hanno visto in tv quello che tutti i telegiornali dicono di loro. Anche ciò che ha detto Guerlin Butungu, il 20enne congolese a capo della banda, unico maggiorenne del branco. «Ma quale violenza. Io non ho fatto niente», ha negato tutto al momento dell’arresto. I tre ragazzini invece hanno continuato anche ieri ad accusarlo: «Non è vero, è stato lui a obbligarci», come hanno fatto durante l’interrogatorio. Ma l’impressione degli inquirenti, del resto confermata dal racconto delle vittime, è che di quegli atti brutali si siano macchiati tutti e quattro indistintamente. E la complicità che i tre minori mostrano ora che sono rinchiusi in una cella, soprattutto i due fratelli, era già stata descritta con lucidità anche dalla trans peruviana che hanno violentato.
Questa mattina il gip deciderà sulla richiesta di custodia cautelare in carcere della pm Marzocchi. Il legale dei due fratelli, Paolo Ghiselli, sottolinea: «Hanno mostrato da subito un atteggiamento collaborativo». È vero, sono stati i primi a costituirsi. «Ma io ho perso il tram», ha raccontato il terzo, il sedicenne, «volevo andarci anche io». Sempre lui in questi giorni avrebbe dovuto sostenere un esame per iscriversi all’alberghiero, come i suoi amici, invece tutti insieme compariranno davanti a un giudice con le accuse di violenza sessuale, lesioni personali aggravate e rapina.