Negozi e periferie, c’è chi resiste «Politiche miopi»
L’ottico Nanni, da 47 anni al Fossolo: comandano i grandi Iper
Resiste in periferia da ormai 47 anni, nonostante quelle che definisce politiche miopi che penalizzano chi apre negozi fuoriporta. «Fanno tutto per agevolare i centri commerciali, comprese le scelte sulla mobilità. Ma in periferia c’è più contatto umano», dice l’ottico Nerio Nanni che interviene sul dibattito sulla desertificazione commerciale delle periferie.
Nerio Nanni, lei aprì il suo negozio di ottica in via Sardegna nel 1970 ed è ancora lì: in periferia si può anche resistere.
«Un tempo era più semplice avviare un’attività fuori porta. Adesso ci penserei un attimo»
I numeri dicono che il centro ha un appeal crescente e che la periferia soffre moltissimo.
«Adesso il centro ha davvero ripreso vita e sono concento per chi ci lavora, mentre per noi il vero problema è nato dalla politica che ha favorito la nascita dei centri commerciali, uno dopo l’altro. Inevitabile che tanti abbiano chiuso».
Più del centro, il centro commerciale. In tanti oggi chiudono bottega e trasformano il locale in garage. «Confermo, è proprio così». Lei è rimasto saldamente in sella.
«E’ un lavoro che mi piace e mi coinvolge. Ho acquisito esperienza, ho sempre studiato. Negli anni sono riuscito a creare un rapporto di fiducia e talvolta di confidenza con i miei clienti. Ogni mattina non dico che vengo fra amici, ma quasi. Dirò di più: da poco ho rinnovato i locali, insomma io ci credo».
In periferia il valore aggiunto è il contatto umano?
«Una volta c’era ancora più familiarità. Quando si doveva fare un acquisto importante si andava in centro dove c’erano i bei negozi e così io cercai subito di presentarmi come se fossi in centro: locali grandi e curati. Fu la mia arma vincente, del resto mi ero fatto le ossa proprio in centro. Poi ho lavorato sodo. Comunque sì, è il rapporto umano».
Iniziò in centro ma scelse di venire qui, fra Mazzini e un Fossolo che stava nascendo.
«Ho visto tutte le trasformazioni. Dalla piccola delinquenza degli anni Ottanta ai tanti stranieri di oggi, almeno un trenta per cento, che hanno meno disponibilità degli italiani. Ma anche su questo punto, almeno per quanto riguarda i negozi di ottica, il problema nasce dalla distribuzione sempre più libera: oggi puoi comprare gli occhiali ovunque, dal supermercato al benzinaio fino alla ferramenta».
Mai pensato di aprire un negozio in centro?
«Sì, pensai a via D’Azeglio pedonale, ma i prezzi erano inaffrontabili e l’avvicinamento della clientela non così immediato»
Da poco ha invece ha un altro esercizio in via Saragozza, fuori porta. Addirittura raddoppia.
«Intanto è una periferia diversa da questa, altro ceto sociale. E poi ho rilevato il negozio di un mio vecchio amico che iniziò come me 47 anni fa e ha coltivato una bella clientela. Mio figlio, ottico come me e a cui ho affidato il locale, è stato bravo a mantenere e a incrementare. Mai e poi mai avrei aperto un negozio da zero».
Il centro gode di molti più servizi e attenzioni della periferia: quali migliorie fuori porta?
«Dalla più classica illuminazione al non accanimento nei confronti di chi parcheggia non perfettamente perché deve sbrigare in fretta una commissione. Mi viene in mente anche il vigile urbano di quartiere di tanto tempo fa. La mobilità è importante. Anni fa la cambiarono con un tot di sensi unici che guarda caso portavano tutti a un centro commerciale: ricordo che ne parlammo anche con il vicesindaco, inutilmente. Adesso dovremo tornare in Comune, o da Tper, perché pare che vogliano sopprimere una linea di bus che passa da via Sardegna: una decisione che non aiuterebbe né gli esercizi commerciali né gli abitanti, per lo più anziani. Scelta miope».