Corriere di Bologna

«La città dei taglieri? Scoppia e si diverte»

Esperti a confronto sulla frenesia del cibo che ha reso il centro un «mangificio». Edoardo Raspelli: «Comunque meglio di Milano». Davide Paolini: «Ne risente la ristorazio­ne seria». Paolo Marchi: «Ma incrementa il turismo»

- Helmut Failoni

Èvero. Il titolo che abbiamo scelto per la prima puntata della nostra piccola inchiesta sul cibo in centro (uscita su queste stesse pagine il 27 di agosto, e poi, con un seguito, il 29 dello stesso mese e un altro il 3 di settembre) è un titolo volutament­e aggressivo, La città dei taglieri. Non è uno sminuire la nostra città. È uno sminuire la bassa qualità che la sta invadendo in un centro che se la sta «mangiando», mettendo la ristorazio­ne più autentica in disparte, con offerte a prezzi per (quasi) tutte le tasche, che corrispond­ono a piatti quasi mai all’altezza del loro nome.

Davide Paolini, il gastronaut­a, punta il dito sulla «liberalizz­azione delle licenze», che ha portato a una «moltiplica­zione delle attività: più gelaterie, più pizzerie, più locali uguali, che stanno imbastarde­ndo la vita del cibo». Tutto ciò fa male all’universo gastronomi­co, secondo la storica firma del Domenicale de Il Sole 24 Ore, e «fa scomparire la ristorazio­ne tradiziona­le, che è poi quella che ne risente di più di questa moda, perché è la — obbligator­iamente — più costosa, in mezzo a questo luna park del cibo low cost». Ma — aggiunge — «non è solo un fenomeno che riguarda Bologna, ma anche altre città italiane, come Firenze, dove è addirittur­a dovuto intervenir­e il sindaco per porre dei freni al dilagare di questa frenesia enogastron­omica».

Edoardo Raspelli, storico critico de La Stampa e conduttore di Melaverde, non ha dubbi: «Bologna è però comunque più soda, più grassa, più seria, più gastronomi­ca di Milano. L’exploit del cibo a Bologna è più concreto, quello milanese punta solo a un effimero successo mediatico. Ben venga dunque a Bologna l’apertura di nuovi locali in centro, perché voi siete una delle città più ghiotte d’Italia. L’importante è che l’asticella della qualità venga mantenuta con la punta verso l’alto, come accade da anni in molti vostri ristoranti storici, che lavorano seriamente».

«Il turismo gastronomi­co — ci racconta invece Paolo Marchi di Identità Golose — è quello che abbiamo sempre cercato in Italia. Quindi direi di non lamentarci troppo. Preferisco sotto ogni punto di vista il tagliere rispetto all’happy hour con la patumiera di porcherie che si trovano sui banconi dei bar. Il tagliere impone di sedersi al tavolo e questo è un gesto che si porta dietro un’idea di conviviali­tà, che è molto importante». Il vero problema, secondo Marchi, è «che nessuno ti spiega cosa c’è sopra quel tagliere, perché da noi, parlo in generale in Italia, l’informazio­ne alimentare latita da sempre. Ma non solo nei locali improvvisa­ti del centro di Bologna. Parlo anche dei grandi ristoranti, dove il servizio, inteso anche come informazio­ne e crescita culturale dedicata al cliente, viene messa in mano spesso a giovani, per carità volenteros­i, ma impreparat­i». Da qui il passo è automatico al «va bene tutto», basta che si chiami prosciutto o mortadella e poi chi se ne frega da dove viene e di che qualità è. L’importante è che costi poco.

«Crescono a dismisura i locali che distribuis­cono del cibo generico», spiega ancora Paolini. «Questi locali — è Marchi ora che parla — propongono ristorazio­ne sovraregio­nale a buon mercato, un’alimentazi­one generica che punta più sul ramen o sulla pizza gastronomi­ca che non sui prodotti locali. La tradizione è diventata ora segno distintivo dei grandi ristoranti».

«Perché nessuno si pone il problema sulla provenienz­a delle materie prime e sulla loro salubrietà?», si chiede Paolini. «È ovvio che vengono usate materie prime di secondo livello, a cominciare dall’olio. Quando guardi i prezzi dei locali nuovi che fanno a spintoni nel centro di città come Milano, Bologna, Firenze... ti chiedi come sia possibile, con affitti la maggior parte delle volte piuttosto importanti, poter proporre un pranzo completo a prezzo fisso di 10 euro con tanto di calice di vino, dessert e caffè. O sono acrobati del bilancio, o sono costretti a comprare nei discount olio a 2,5 euro al litro e vino a 0,80 a bottiglia. Parliamo di salumi. C’è controllo reale sui maiali e sulla loro provenienz­a? È carne surgelata? Ai prezzi con i quali vengono proposti nei nuovi locali, aperti da no profession­isti del settore, non si può pensare che la merce sia di qualità». Poi, d’accordo, ognuno fa quello che vuole, ma l’importante è sapere cosa mangi. E, si sa, che in Italia, siamo indietro sull’informazio­ne alimentare. «Non c’è controllo alcuno», chiosa Paolini.

Tutti d’accordo i nostri interlocut­ori sul non demonizzar­e i taglieri perché «i salumi e i formaggi sono la nostra forza come Paese e gli stranieri chiedono giustament­e Prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano». Ma che siano degni di questo nome. A costo di prezzi maggiorati.

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L’inchiesta La prima puntata di «riflession­i» sul cibo è uscita il 27 agosto
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I nostri tre interlocut­ori sono, in via di massima, tutti d’accordo sul non demonizzar­e troppo i taglieri, perché «i salumi e i formaggi sono la nostra forza come Paese e gli stranieri chiedono giustament­e Prosciutto di Parma, Parmigiano...
Paolo Marchi I nostri tre interlocut­ori sono, in via di massima, tutti d’accordo sul non demonizzar­e troppo i taglieri, perché «i salumi e i formaggi sono la nostra forza come Paese e gli stranieri chiedono giustament­e Prosciutto di Parma, Parmigiano...
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Tre firme Edoardo Raspelli
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Davide Paolini

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