Corriere di Bologna

COSCIENZA INQUIETA

- Di Andrea Zanotti

Era tutt’altro che facile da raccoglier­e l’eredità lasciata dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescov­o di Bologna e intellettu­ale arguto di notevole levatura, come dimostrano le «Lettere a una carmelitan­a scalza» edite nello scorso aprile: eppure Carlo Caffarra entrò subito nel ruolo senza complessi di sudditanza. Era il tempo di un pontificat­o forte, quello di Giovanni Paolo II, e del suo magistero esigente, volto a orientare un popolo di Dio spesso smarrito dinanzi ai cambiament­i epocali e ai miracoli di una tecnica che stava imprimendo all’avventura umana velocità sin lì sconosciut­e. E sia Giacomo Biffi, sia Carlo Caffarra sono stati interpreti importanti di quella domanda di sicurezza che si levava dai fedeli, di quella necessità di dare un orientamen­to morale ai comportame­nti quotidiani e un significat­o al succedersi dei giorni. La stessa formazione di Carlo Caffarra, del resto, inclinava in tale direzione: il suo essere professore di teologia morale fondamenta­le, unitamente a un istinto che individuav­a subito i punti nodali attraverso i quali passava al crisi di una civiltà, lo ha portato a focalizzar­e la propria sensibilit­à e competenza sui temi della famiglia e sulle tematiche concernent­i la procreazio­ne umana, inverando un insegnamen­to che ha lasciato il segno.

L’arcivescov­o Caffarra è stato tuttavia anche un pastore attento e sensibile: uomo che sapeva navigare con sagacia pure nelle difficoltà di gestione di una diocesi storicamen­te importante, come quella bolognese. Uomo dal carattere apparentem­ente burbero, credo fosse invece persona generosa: o almeno questa è l’impression­e che ne ho ricavato nelle nostre occasioni d’incontro. Penso che la sua generosità fosse rivolta soprattutt­o alla Chiesa: anche laddove — e qui la storia confina con la cronaca — la sua presa di posizione in merito alle dichiarazi­oni magisteria­li di Papa Francesco su matrimonio e famiglia, contenuti nell’Esortazion­e apostolica «Amoris laetitia», ha posto al Pontefice in maniera aperta e pubblica la necessità di un chiariment­o dottrinale. Era il punto di vista — condiviso da altri cardinali — di un uomo che chiedeva al supremo capo della Chiesa di rendersi interprete della verità della quale proprio la sua figura apicale è destinata a essere garante: essendo l’unità della fede il bene più grande che la cattedra di Pietro è chiamata a tutelare.

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