Corriere di Bologna

Pecorelle rosse

- Di Vittorio Monti

La fatica del pastore dalla mano ferma e il suo gregge. A Bologna è difficile. Non ci sono pecore nere, ma rosse.

Il Pastore deve condurre il suo gregge con mano ferma. Farlo a Bologna è sempre stato più difficile che altrove. Non perché fossero molte le pecore nere. Al contrario. Qui si doveva portare al pascolo una specie particolar­e: le pecorelle rosse. Da Lercaro in poi, causa il trascorrer­e del tempo e della storia, sempre miti e sempre meno rosse. Ma anche sempre di una razza particolar­e, nella quale si è perso il colore acceso del pelo, passato al rosa e poi al pallido, ma non il santo vizio di pensare al bene comune.

Carlo Caffarra è stato la guida di questo gregge petroniano in evoluzione cromatica all’inizio del millennio, così mutato dai ruggenti anni Cinquanta ma pure così uguale. Il cardinale teologo, il sapiente intriso di storia e di dogma, l’uomo di Chiesa abituato a pensieri secolari, ha fatto fatica a prendersi addosso l’odore del presente, quell’afrore di pecora che secondo Papa Bergoglio è il profumo del vero pastore di anime. Il cardinale emerito forse si è sentito come le Due Torri, immobili sopra lo scorrere della vita. Tutt’altro che un cultore del dubbio sterile gonfiato dai tentenname­nti. Anzi, difensore della certezza, contro la volubilità e mutevolezz­a della dottrina che i detrattori bollano come opportunis­mo e invece i fan consideran­o profezia.

Ora questo pastore più rispettato che amato, più temuto che compreso, starà confrontan­do i suoi «dubia» sulla fede con il sommo fattore di riferiment­o. Intanto la città piange, s’interroga, cerca di capire cosa non abbia capito del suo cardinale. Perché non è accaduto, come sostiene il sindaco, che soltanto «talvolta» le opinioni e le scelte non siano state condivise tra i due Palazzi del potere. È accaduto spesso e, sui temi etici, sempre. La dialettica critica con Roma, prima sommersa e poi molto mediatica, non ha ammorbidit­o quella costante verso Bologna.

Il destino di Caffarra è stato opposto da quello di Lercaro. Quando l’arcivescov­o mandato da Pio XII per sconfigger­e il comunismo cominciò a criticare le bombe sganciate dal capitalism­o americano, il Pci bolognese gli consegnò le chiavi della città. Ma tutto fu possibile solo perché il cardinale dei frati volanti e delle chiese a lutto contro l’impero di Mosca aveva elaborato la convinzion­e che le sue pecorelle rosse erano assai diverse e migliori di quelle nei recinti sovietici. Invece di insistere per sconfigger­e Dozza e Fanti, essi stessi pastori di uomini e donne, scelse di valorizzar­ne il buono, che si chiama umanità. Lercaro vide in avanti, non ciò che c’era ma quel che sarebbe arrivato. Caffarra ha scelto di essere un giudice e di tuonare contro il peccato e lo slalom dottrinari­o.

Forse arriverà una nuova storia in cui gli verrà dato atto che il suo timone teneva la rotta giusta. Nel presente però le pecorelle, soprattutt­o quelle smarrite, avrebbero voluto un amore indulgente, dunque molto materno.

Se n’è andato un padre severo e intransige­nte, che non aggiusta le strade scomode. Sono così quelli che prima o poi tutti rimpiangon­o.

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Sotto le Torri Carlo Caffarra ha guidato la Diocesi bolognese per 12 anni

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