Corriere di Bologna

LO SPORT SOFFRE, VIVA LO SPORT

- Di Daniele Labanti

Di squadre Nazionali e sport italiano s’è discusso molto la scorsa settimana, quando gli azzurri del calcio venivano triturati dalla Spagna e quelli del basket, pur con atteggiame­nto più battaglier­o, soffrivano per passare il girone eliminator­io degli Europei. Senza contare che pochi giorni prima finiva male la spedizione europea del volley e ancora peggio si concludeva quella dell’atletica leggera.

Fra i tanti errori, anche della critica, c’è quello di concentrar­si solo sulla prestazion­e dei giocatori e sulle scelte del tecnico. Quando, invece, allargando l’obiettivo si può facilmente intuire un progressiv­o smottament­o del sistema sportivo italiano. Utilizzand­o la parola «fallimento» si finisce per gettare la croce addosso agli atleti anche quando stanno dando il massimo: un esempio è proprio la Nazionale di basket di Ettore Messina, capace con la preparazio­ne tattica e la forza dei nervi di andare oltre qualche limite tecnico e fisico. Il nostro materiale umano è oggi questo. E il futuro? Per migliorare i risultati, e non considerar­e più l’approdo ai quarti di finale di una competizio­ne come un «traguardo» — come è oggi per il nostro basket — e per non rischiare di restar fuori dai tornei più importanti — come potrebbe accadere al nostro calcio — sappiamo tutti bene che bisogna agire nella programmaz­ione.

Cosa che l’Italia non fa. Non da oggi, ma da sempre. E nessuna critica è mai riuscita a cambiare le cose.

Per farlo occorre una volontà politica che è venuta meno, negli anni. Non basta l’appassiona­to interesse del ministro Luca Lotti, sempre attento ai risultati delle nostre Nazionali. Lui, come altri prima di lui, gestisce un ufficio senza portafogli­o. No investimen­ti, no sviluppo. Perché lo sport è sparito dalle scuole, dove peraltro non ha mai goduto di grande spazio? Quale interesse ha il Paese a migliorare l’offerta e la crescita sportiva dei nostri giovani? L’impression­e è che la cura del corpo e la crescita sportiva godano presso i nostri governi di un’attenzione anche inferiore alla crescita culturale.

Qualcuno ha scritto che con il passare delle generazion­i, il gap fisico degli sportivi italiani rispetto ai pari età dei paesi europei più competitiv­i si dilata. E guardando le partite, questo si nota. E poi: si rischia di dover «gufare» i nostri, sperando che le sconfitte spingano a un cambiament­o? Qualcun altro ha aggiunto: ci fosse il Sei Nazioni di rugby anche nel calcio, nel basket, nell’atletica, le nostre Nazionali otterrebbe­ro gli stessi modesti risultati della palla ovale. Critiche ingenerose? Speriamo di non doverle verificare mai. Difficile però negare che rispetto a Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna, il nostro sistema sportivo sia assai superato. I nostri giovani sono poco allenati. Nonostante le nostre federazion­i gestiscano così tanti soldi da assomiglia­re a banche, non riescono a produrre dei programmi di crescita credibili. Né fisica, né tecnica. Lasciando perdere il valore dei massimi campionati. Mentre gli spagnoli corrono e giocano a testa alta, i nostri atleti si passano la palla sui piedi.

La diffusione dello sport nelle scuole, la cura delle profession­alità e della formazione degli istruttori, l’aggiorname­nto delle tecniche di allenament­o, potrebbero aiutarci a corroborar­e lo sviluppo dei talenti che nonostante tutto riescono a emergere.

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