LO SPORT SOFFRE, VIVA LO SPORT
Di squadre Nazionali e sport italiano s’è discusso molto la scorsa settimana, quando gli azzurri del calcio venivano triturati dalla Spagna e quelli del basket, pur con atteggiamento più battagliero, soffrivano per passare il girone eliminatorio degli Europei. Senza contare che pochi giorni prima finiva male la spedizione europea del volley e ancora peggio si concludeva quella dell’atletica leggera.
Fra i tanti errori, anche della critica, c’è quello di concentrarsi solo sulla prestazione dei giocatori e sulle scelte del tecnico. Quando, invece, allargando l’obiettivo si può facilmente intuire un progressivo smottamento del sistema sportivo italiano. Utilizzando la parola «fallimento» si finisce per gettare la croce addosso agli atleti anche quando stanno dando il massimo: un esempio è proprio la Nazionale di basket di Ettore Messina, capace con la preparazione tattica e la forza dei nervi di andare oltre qualche limite tecnico e fisico. Il nostro materiale umano è oggi questo. E il futuro? Per migliorare i risultati, e non considerare più l’approdo ai quarti di finale di una competizione come un «traguardo» — come è oggi per il nostro basket — e per non rischiare di restar fuori dai tornei più importanti — come potrebbe accadere al nostro calcio — sappiamo tutti bene che bisogna agire nella programmazione.
Cosa che l’Italia non fa. Non da oggi, ma da sempre. E nessuna critica è mai riuscita a cambiare le cose.
Per farlo occorre una volontà politica che è venuta meno, negli anni. Non basta l’appassionato interesse del ministro Luca Lotti, sempre attento ai risultati delle nostre Nazionali. Lui, come altri prima di lui, gestisce un ufficio senza portafoglio. No investimenti, no sviluppo. Perché lo sport è sparito dalle scuole, dove peraltro non ha mai goduto di grande spazio? Quale interesse ha il Paese a migliorare l’offerta e la crescita sportiva dei nostri giovani? L’impressione è che la cura del corpo e la crescita sportiva godano presso i nostri governi di un’attenzione anche inferiore alla crescita culturale.
Qualcuno ha scritto che con il passare delle generazioni, il gap fisico degli sportivi italiani rispetto ai pari età dei paesi europei più competitivi si dilata. E guardando le partite, questo si nota. E poi: si rischia di dover «gufare» i nostri, sperando che le sconfitte spingano a un cambiamento? Qualcun altro ha aggiunto: ci fosse il Sei Nazioni di rugby anche nel calcio, nel basket, nell’atletica, le nostre Nazionali otterrebbero gli stessi modesti risultati della palla ovale. Critiche ingenerose? Speriamo di non doverle verificare mai. Difficile però negare che rispetto a Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna, il nostro sistema sportivo sia assai superato. I nostri giovani sono poco allenati. Nonostante le nostre federazioni gestiscano così tanti soldi da assomigliare a banche, non riescono a produrre dei programmi di crescita credibili. Né fisica, né tecnica. Lasciando perdere il valore dei massimi campionati. Mentre gli spagnoli corrono e giocano a testa alta, i nostri atleti si passano la palla sui piedi.
La diffusione dello sport nelle scuole, la cura delle professionalità e della formazione degli istruttori, l’aggiornamento delle tecniche di allenamento, potrebbero aiutarci a corroborare lo sviluppo dei talenti che nonostante tutto riescono a emergere.