Il mimetismo dei pesci per non morire di selfie
Col nuovo e brutto termine selficidio si intende il tragico esito di quello che un tempo si chiamava autoscatto. Nel mondo, negli ultimi due anni, si sono contate circa 200 di queste morti che accadono in auto, sporgendosi da un binario, cadendo da grandi altezze o in acqua. Le vittime sono moderni Narcisi che annegano specchiandosi nello smartphone. Esporsi troppo fa male, nascondersi aiuta. Prendiamo esempio da chi non può annegare, i pesci: per sopravvivere hanno affinato il contrario del selfie e cioè il mimetismo. Gli scorpenidi come gli scorfani si mimetizzano per bruttezza, rivestendosi di spine ed escrescenze, sparendo tra Posidonie e alghe. Abbruttirsi per vivere sarebbe troppo per l’uomo che tuttavia, ai primi segni di mimettismo (patologia dell’ego che grida «mi metto in posa, mi metto sui social») potrebbe imparare dalla famiglia delle pleuronectidi, pesci piatti che nuotano di profilo (basso) sui fondali e con rapidi scatti alla Fregoli si coprono di un velo di sabbia per sparire come fantasmi. Tra queste vi è la comune sogliola (Solea solea) con la sua livrea double face buona per i sette mari; sua cugina Limanda limanda fa molti scatti subacquei, ma non li manda a nessuno. Il fenomeno dei selfie interroga scienziati e filosofi. Le ragioni profonde di tanto successo però non sono più urgenti della consapevolezza sui rischi pratici di un eccesso narcisistico. In fondo, è questione di equilibrio.