«Mai in aula, nessuna traccia di pentimento»
Amianto, le motivazioni della condanna degli ex dirigenti: «Da parte loro nessun pentimento»
Gli ex dirigenti della Casaralta hanno sacrificato le vite degli operai alla «logica del profitto». Non solo, non si sono presentati a processo così mostrando di «non aver in alcun modo preso coscienza delle proprie condotte». Sono queste le motivazioni della condanna da parte del Tribunale degli ex dirigenti delle officine per la morte di almeno 81 persone per l’amianto.
Il profitto più importante delle vite umane. Il giudice Manuela Melloni ha messo nero su bianco le motivazioni della sentenza che a marzo scorso ha condannato a pene da due a tre anni di carcere, senza sospensione condizionale, tre ex dirigenti delle officine Casaralta, dove decine di operai hanno respirato fibre d’amianto fino a morirne. Morti dovute, scrive il giudice nelle 200 pagine di motivazioni appena depositate, «a un modo di fare impresa in cui la pur legittima logica del profitto non è stata in alcun modo associata ai più elementari doveri di solidarietà sociale».
Per omicidio colposo e lesioni colpose in concorso sono stati condannati Maria Regazzoni, oggi 87enne e membro del cda dal ‘55 al ‘79 e dall’84 al ‘93, Carlo Regazzoni, 61 anni, consigliere dal ‘77 all’86, Carlo Filippo Zucchini, 63 anni, in carica dal ‘79 all’86. I primi due sono sorella e nipote di Giorgio Regazzoni, facoltoso fondatore della grande fabbrica di via Ferrarese che costruiva e riparava carrozze di treni e tram, morto prima che il processo a suo carico arrivasse a sentenza, ma a cui i giudici fecero sequestrare un patrimonio da 12 milioni di euro.
Nelle motivazioni il giudice Melloni ripercorre la storia produttiva della Casaralta, arrivata negli anni d’oro ad impiegare 500 dipendenti, e spiega perché i tre imputati, unici consiglieri di amministrazione rimasti in vita, non possano considerarsi esenti da obblighi concernenti la sicurezza del lavoro. Perché, ha dimostrato il pm Roberto Ceroni, contribuirono a scelte produttive implicanti l’uso dell’amianto con modalità operative che esponevano i lavoratori al pericolo senza un’adeguata valutazione dei rischi. Tra queste scelte, ad esempio, quella di acquisire, almeno fino alla metà degli anni 70, le commesse da Ferrovie dello Stato per la produzione di nuovi rotabili che prevedevano la coibentazione con amianto a spruzzo. Successivamente fu privilegiata la ristrutturazione delle vecchie carrozze, anche contenenti amianto. «Una scelta coltivata perché risultava più economica e vantaggiosa in termini di incremento del fatturato».
Nella fabbrica dei veleni l’amianto veniva spruzzato, spazzato e ammassato senza che fosse adottata nemmeno la più elementare precauzione per gli operai, lasciati per decenni all’oscuro dei pericoli connessi all’amianto. Eppure che di amianto si moriva lo si sapeva, hanno testimoniato i consulenti tecnici dell’accusa, almeno dai primi decenni del secolo scorso. Ma i vertici dell’azienda non informarono mai lavoratori, che con le tute ancora contaminate andavano in mensa e tornavano a casa dalle loro famiglie.
É stata una strage silenziosa che ha lasciato sul campo almeno 81 vittime, anche se le condanne sono arrivate solo per una ventina di loro, a causa della prescrizione o per gli avvicendamenti all’interno del cda.
Nei confronti dei Regazzoni e di Zucchini il giudice ha ritenuto anche di dover escludere le attenuanti generiche, perché «non è giunta manifestazione alcuna di una qualche effettiva presa di coscienza del disvalore delle proprie condotte». «La stessa scelta di non presenziare al dibattimento, certamente legittima — prosegue —, ha costituito una sostanziale presa di distanza, così come la assenza di condotte riparatorie o risarcitorie».
I difensori dei tre imputati, Nicola e Federico Mazzacuva e Claudia Pelà, avevano già annunciato il ricorso in Appello. Ai familiari di ogni vittima, rappresentati dai legali Alessandro Gamberini, Simone Sabattini, Cristina Gandolfo e Delia Fornaro, il Tribunale ha poi riconosciuto una provvisionale di 150.000 euro ciascuno, oltre al risarcimento dei danni.