Aemilia, l’appello condanna il consigliere di Forza Italia
La ‘ndrangheta in Emilia-Romagna esiste e ha avuto rapporti con la politica. Lo ha ribadito la sentenza d’Appello per il processo Aemilia che ieri ha confermato l’impianto accusatorio della sentenza di primo grado e accolto le richieste della Procura generale. L’assoluzione del consigliere provinciale e comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Fi) è stata clamorosamente ribaltata con una condanna a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa e l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. «La mafia mi fa schifo da sempre ed è vergognoso che qualcuno la associ al mio nome in una sentenza», ha detto Pagliani dimettendosi subito dai suoi incarichi, mentre Alessandro Sivelli, il suo difensore, annuncia ricorso in Cassazione e parla di «una sentenza inaspettata che lascia increduli».
È stato celebrato in Corte d’Appello a Bologna il processo di secondo grado per i 60 imputati di Aemilia che avevano optato per il rito abbreviato, mentre altri 150 sono tutt’ora a processo a Reggio Emilia. Pena a 8 anni e 6 mesi di carcere confermata per Roberta Tattini, la commercialista bolognese accusata di aver messo le sue prestazioni professionali al servizio delle cosche. L’operazione Aemilia è stata la più imponente contro la criminalità organizzata in regione, individuando un’associazione legata alla cosca dei Grande Aracri di Cutro con epicentro nel Reggiano. Uno sconto di pena, da 12 anni a6, è stato riconosciuto per Giuseppe Giglio, primo degli imputati ad aver intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia: dalle sue rivelazioni sono nati nuovi filoni di inchiesta che potrebbero presto portare ad altre clamorose svolte giudiziarie. Soddisfatto il procuratore capo Giuseppe Amato, coordinatore della Dda: «È stato dimostrato quel che da tempo si dice: la presenza di una zona grigia dove entrano politici, imprenditori, professionisti».