Non piangere, caro Ibrahima Tattica, coraggio e fiducia Donadoni ha ripreso il Bologna
Fischio finale di BolognaInter, c’è Ibrahima Mbaye sulla fascia destra che pensa e ripensa a quella caduta involontaria che ha causato il contatto su Eder e il rigore del pari nerazzurro, lasciando sul piatto due punti strameritati. Gli si avvicinano un paio di compagni dalla panchina e lo consolano, ma lui resta lì, con le mani sulla fronte, rivive quegli attimi e non si dà pace. Arriva Donadoni, uno che nell’ultimo anno e mezzo l’ha messo più volte in panchina che in campo: lo abbraccia, gli mette le mani sulla testa: «Hai fatto un’ottima prestazione, non ti preoccupare». La carezza del tecnico va a segno, Mbaye magari ripensa alle tante volte in cui ha annullato Perisic durante la serata e va verso gli spogliatoi, conscio che il suo tecnico ha apprezzato la sua prova e non lo colpevolizza di certo per quel penalty, per quanto doloroso.
Anche così, Roberto Donadoni si sta pian piano riprendendo il suo Bologna, dando vita ad un gruppo che sul campo non lascia nulla di intentato e prova ad andare oltre i suoi limiti: un calcio alle critiche e alle diffidenze, in particolare a quelle che vedono l’allenatore come primo bersaglio, mentre dallo spogliatoio continuano ad arrivare dichiarazioni sulla forza di un gruppo ben più coeso rispetto alla passata stagione.
Un collettivo che è anche più coinvolto, se è vero che nelle sei partite tra campionato e Coppa Italia fin qui un’occasione dal primo minuto l’hanno avuta praticamente tutti ad eccezione di Crisetig (in campo a Benevento, in ballottaggio fino all’ultimo per un posto da titolare) e degli infortunati, come Falletti, Keita e quel Krejci che senza il colpo alla mascella avrebbe giocato a Firenze. Una girandola nata anche dai mutamenti tattici, dal 4-2-3-1 visto contro il Napoli — battezzato da molti una follia alla lettura delle formazioni e poi più performante che mai per oltre un’ora — al 4-3-3 tornato ad essere base affidabile appiglio alla ricerca di certezze. Scelte coraggiose che riguardano anche i singoli, gettati nella mischia senza troppe remore: Donsah a Benevento, buttato in campo dopo due settimane con la valigia in mano, Krafth in casa contro lo spauracchio Insigne e decisamente dignitoso oppure Petkovic, che il tecnico martedì sera ha piazzato a fare il centravanti-boa visti i guai fisici di Palacio e Destro ricavandone la miglior gara bolognese del croato.
«Sono orgoglioso di tutti», ha detto nel dopopartita, dispensando elogi a destra e a manca e difendendo a spada tratta anche gli assenti come Destro, «che fin qui comunque ha fatto cose importanti sul campo che non eravamo abituati a vedergli fare». Caramelle alla fiducia per tutti, probabilmente simbolo del nuovo corso di un tecnico che sa di aver bisogno di tutti gli elementi e del 110% in ogni partita per portare a casa i punti necessari per crescere.
E tanti saluti anche al Donadoni calcisticamente gerontofilo, quello che fa giocare solamente i più vecchi: contro l’Inter, ovviamente anche per esigenze di infermeria, i dieci giocatori di movimento della formazione titolare avevano un’età media di 24 anni e ne è uscito uno dei Bologna più divertenti ed intriganti dell’ultimo anno e mezzo. A suo modo, un bel segnale anche per lo stesso tecnico in chiave scelte future.