Dialogo famigliare davanti agli schermi
Domani all’Ambasciatori Aldo Cazzullo presenta il suo nuovo libro «Metti via quel cellulare», conversazioni con i figli sull’uso delle tecnologie: «Nessun predicozzo, le nostre posizioni si avvicinano quando si parla di bullismo»
«Non è possibile che anziché i vostri volti mi veda sempre davanti i vostri cellulari», rimbrotta un padre i propri figli nell’età degli smartphone. E decide di scrivere un libro. Lo intitola Metti via quel cellulare (Mondadori), un discorso contro un mondo reso virtuale da quell’appendice che sempre di più media i nostri rapporti con gli altri.
L’autore è Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, che lo presenterà domani alle 18 alla libreria Ambasciatori con Filippo Andreatta. Ma il libro è qualcosa di più di un campanello d’allarme sui pericoli della rivoluzione digitale. Diventa un dialogo familiare, un’analisi dei rapporti tra le generazioni, perché alle proteste del padre i figli, Rossana e Francesco rispettivamente di 17 e di 20 anni, rispondono a tono, con affetto e fermezza, provando a spiegare il loro mondo.
Cazzullo, chi è il protagonista del volume?
«Direi che è la famiglia al tempo della rivoluzione del cellulare. Ma osservo anche le trasformazioni della scuola e della società, perché lo smartphone sta cambiando radicalmente il modo di comunicare e di vivere».
Lei non sembra innamorato di queste trasformazioni…
«Gutenberg con la stampa ha reso duplicabile la Bibbia, ma il libro era sempre quello. La rivoluzione digitale cambia la vita. Per leggere un volume ci vogliono giorni; per vedere un film almeno due ore. Per i ragazzi con lo smartphone quel tempo è un’eternità. Sono abituati ai video di YouTube di due, tre minuti. A post che rimandano a link che rimandano a musiche o immagini eccetera. Non invido gli insegnanti che devono cercare di tenerli sei ore sconnessi».
E però i suoi figli difendono bene l’annuncio di futuro della rete.
«Il libro è pensato come un dialogo, cresciuto per un anno, da vicino o via WhatsApp. Non ho voluto fare un predicozzo o un’invettiva. All’inizio le posizioni sono distanti, conflittuali. Poi, quando iniziamo a parlare di bullismo in rete, di dissoluzione della politica, si avvicinano».
Sente tanto lontano da lei quel mondo?
«È distante dalla mia formazione, ma mi rendo conto di farne parte anch’io. Rossana e Francesco mi accusano di starmene chiuso nella mia stanza, chino sul computer o sul telefonino. Tra quelli della mia generazione sono diffuse la chat dei genitori, che enfatizzano ogni piccola cosa che avviene ai figli a scuola… La differenza è che i miei ragazzi come Obelix sono caduti nella pozione magica da piccoli, noi da grandi. Ancora diverso è per i nativi digitali. Con i miei figli, in fondo, ancora abbiamo giocato a nascondino. Ora i bambini imparano prima a usare l’iPad che a scrivere. I compagni di banco si parlano attraverso le faccine. È uno specchio in cui guardarsi, che rapisce».
La rete, però, può essere uno strumento di ricerca: puoi trovarci i classici, testi rari…
«Lo dicono anche i miei figli. È uno strumento anche per incontrare vecchi amici scomparsi, ma se non li vedevi da molto qualche motivo ci doveva essere… Noi siamo stati gli ultimi a leggere Cuore, Salgari, Verne o i grandi classici. Aver incontrato gli stessi testi ha formato una generazione. Ora libri, ma anche i film, le musiche, sono fatti a pezzi e gettati nella rete come coriandoli. I miei figli rispondono: così arrivano dappertutto». E i giornali? «Internet ci toglie pubblico, ci mangia vivi, utilizza il nostro lavoro e lo regala, poi ci insulta chiamandoci servi. Ma la gratuità della rete è un’illusione. C’è un prodotto venduto e comprato: siamo noi. Facebook non ti apre un mondo: ti rinserra nella tua cerchia. I signori di internet distruggono posti di lavoro e, conoscendo i nostri gusti, i nostri segreti, diventano i padroni del mondo. Vedo un futuro in mano ai robot, governati dal cervello della rete, che possiede miliardi di dati, perché nessun post si cancella mai, neppure il più stupido».
I suoi figli osservano che la rete in sé non è buona o cattiva, sono le persone che la rendono ciò che vogliono.
«Certo, se ci fossero stati gli smartphone ai tempi del G8 di Genova le violenze alla caserma Diaz sarebbero state documentate. Ma nella rete dominano le fake news, le voci di odio, più forti di quelle miti. È una notte in cui tutti i gatti sono bigi: tutti sono corrotti, ladri, i giornalisti servi e così via». C’è qualche spiraglio? «I miei figli dicono che il telefonino è un alibi per noi genitori per lavarci le mani di loro. Questo libro è stato un tentativo per riaprire il dialogo».
La rete è senza dubbio uno strumento Ora libri, ma anche i film, le musiche, sono fatti a pezzi e gettati nella rete come coriandoli I miei figli rispondono: così arrivano dappertutto I signori di internet distruggono posti di lavoro e, conoscendo i nostri gusti, i nostri segreti, diventano i padroni del mondo Vedo un futuro in mano ai robot