Sidoli, la Philip Morris e Bologna «La chiave è la qualità del lavoro»
Eugenio Sidoli, l’ad di Philip Morris, un anno dopo l’investimento da 1 miliardo «Il nostro hub: qui per restare»
Aun anno esatto dall’inaugurazione del nuovo stabilimento di Crespellano (investimento da un miliardo) l’ad di Philip Morris, Eugenio Sidoli, traccia un bilancio non solo dell’azienda ma anche dello stato di salute della manifattura. «In Emilia abbiamo un’industria in crescita a ritmi che non si vedevano da anni — dice —. Una notizia meravigliosa per la quale tutti dovremmo fare festa. Ora occorre attrezzarsi per raccogliere i frutti di questa ripresa». A partire dalla definizione «di perito industriale che dovremmo chiamare digital maker».
«Ad oggi abbiamo assunto più di mille persone. La fabbrica sta scalando la domanda, soprattutto da Giappone e Corea, con oltre 8.000 nuovi consumatori al giorno. Un po’ di mesi fa abbiamo segnalato che la carenza di tecnici fosse un problema strutturale per il territorio e l’impegno delle istituzioni non è tardato ad arrivare. Del resto, la ripresa non si può fare senza preparare le persone». Proprio un anno fa Eugenio Sidoli, ad di Philip Morris Italia, inaugurava insieme all’allora premier Matteo Renzi la nuova fabbrica di Crespellano. Quella della sigaretta che non brucia, del miliardo di investimento e dei 1.200 posti di lavoro. Dodici mesi dopo traccia un bilancio che non parla solo dell’azienda. «In Emilia abbiamo un’industria in crescita a ritmi che non si vedevano da anni — dice —. Una notizia meravigliosa per la quale tutti dovremmo fare festa. Ora occorre attrezzarsi per raccogliere i frutti di questa ripresa».
Alla carenza di tecnici si somma il tema dell’industria 4.0 e della trasformazione digitale.
«Non è che il robot prende il posto dell’uomo che è la cosa di cui abbiamo paura. Gli automi faranno lavori routinari gestiti da uomini che devono avere le competenze adeguate. Il punto non è solo la quantità ma la qualità dei tecnici. Un discorso che vale per noi e per molte altre aziende del territorio. Ovunque la robotica è entrata in fabbrica e se non ti rinnovi sei fuori dal mondo. Questa cosa vale per la vita comune e non può non valere per la vita industriale».
Eppure resta una certa diffidenza nei confronti dell’istruzione tecnica
«Io dico che è anche il nome a creare un certo tipo di percezione. Il termine “perito industriale” sembra avere a che fare con una realtà industriale finita. Se quelle stesse professionalità le definisco “digital maker” vedo una prospettiva diversa, quella di un professionista che ha il lavoro garantito per i prossimi 30 anni. Devono solo imparare a parlare inglese e a usare la macchina a controllo numerico al posto del tornio. Per questo a scuola abbiamo bisogno di laboratori nuovi con strumenti per entrare nel lavoro di domani».
Ma è vero che anche voi non trovate tecnici?
«Certo che no, lavoriamo 24 ore su 24, sette giorni su sette. Ma il capitale umano necessario a Bologna per la sua rivoluzione industriale non è solo quello che serve a noi. Nella nostra filiera ci sono tante imprese bolognesi. Ma se la coperta è corta a un certo punto il meccanismo si inceppa e questa blocca anche il capofila. Questo è il paradosso».
Nonostante questo lei resta molto ottimista
«La nostra regione ha grande leadership. Abbiamo istituzioni che pensano in linea con i progetti dell’impresa. Incominciano ad avere aziende che fanno prodotti di largo consumo e questo è un vantaggio per tutta la filiera. Io credo in questo sistema. Bologna ha tutto per farcela e sono convinto che ce la farà. Ma da uomo d’impresa so che quando non si pianifica a dieci anni il lavoro è solo tattico».
E dopo un anno come valuta il vostro investimento?
«A Bologna è partito un progetto che ha cambiato il nostro mondo. Ora il 10% del fatturato del nostro gruppo arriva da prodotto riscaldato. Abbiamo creduto in Bologna per produrre qui il prodotto più avanzato. Avere qui il capofiliera di mercato globale fornisce un’altra dimensione alla città. Il nostro hub è qui per restare. L’anno scorso i flussi legati alla nostra fabbrica avevano generato 5.000 camere d’albergo. Quest’anno sono 15.000 camere nei primi nove mesi..»
Qual è il bilancio da consigliere della Bologna Business School?
«Una realtà che guarda alla punta della formazione. Non possiamo formare operai senza leader imprenditori e dirigenti delle imprese. È un asset pazzesco per Bologna, non abbiamo nulla da invidiare alla Bocconi».
E da consigliere dell’istituzione Musei?
«I musei sono venuti fuori in modo casuale. Il sindaco sa che sono un appassionato d’arte, mi ha chiamato. Io ho accettato pensando di poter contribuire aiutando il cda a guardare al museo come a una realtà manageriale. Bologna sta facendo grandi progressi anche su questo. Per la mia generazione è sempre stata una città ambitissima. Una città come una grande vita underground, una super università con professori di altissimo livello e una realtà industriale tra le più importanti. Ora si tratta di riattivare braci che sono sotto ceneri. C’è da fare un po’ di lavoro perché il fuoco riparta, ma Bologna è piena di brace viva».
La recessione finita Abbiamo un’industria in crescita a ritmi che non si vedevano da anni: ora bisogna raccogliere i frutti di questa ripresa