Corriere di Bologna

«Per conquistar­ci, venite in Russia» La lezione di Razov alle nostre imprese

L’ambasciato­re: «Non basta il commercio, servono filiali e stabilimen­ti». L’export vale 322 milioni

- Riccardo Rimondi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’export non basta più, le imprese emiliane devono aprire filiali e centri di produzione anche in Russia se vogliono continuare a crescere su quel mercato e su quelli vicini, embargo permettend­o. Ne è convinto l’ambasciato­re russo Sergey Razov: «Il crollo dell’interscamb­io è un problema di ieri, ora bisogna guardare alla nuova situazione che si sta creando. E spostarsi dal Made in Italy alla localizzaz­ione della produzione in Russia, per conservare la nicchia italiana nel mercato russo ed espandersi sui Paesi terzi», è la visione che il diplomatic­o presenta a una platea di imprendito­ri e attori dell’economia emiliana che ieri mattina si è riunita in Carisbo. L’occasione era il secondo seminario italorusso organizzat­o dall’associazio­ne Conoscere Eurasia per parlare del futuro delle relazioni commercial­i con un Paese che è il nono più «pesante» per l’export bolognese.

E che con le Due Torri ha una relazione di lungo corso, non solo economico, ricorda scherzando Razov: «Non è un caso che mi sia messo una cravatta di questo colore», esordisce alludendo all’indumento di un rosso sgargiante. Altri tempi. Ora il filo rosso che lega Bologna, l’Emilia-Romagna e la Russia è fatto soprattutt­o di macchinari e tessile, due settori che nel 2016 secondo i dati della Camera di Commercio valevano oltre il 60% del valore ottenuto commercian­do con il Paese più esteso al mondo.

Ma per continuare a espandersi su questo mercato bisogna sciogliere due nodi. Il primo, su cui spinge Razov, è la necessità di portare parte della produzione sul posto: passare, insomma, dal «made in» al «made with». Attualment­e, le società italiane presenti stabilment­e in Russia sono circa 450, secondo i dati del direttore regionale di Intesa Sanpaolo Tito Nocentini. E una su cinque è emiliana. Non tutte, però, hanno delocalizz­ato la produzione. La Faac, per esempio, ha aperto una filiale commercial­e nel 2012 per distribuir­e i propri prodotti sul territorio.

Il secondo tema d’attualità è quello delle sanzioni, che nel 2015 avevano fatto crollare le relazioni commercial­i. «Sono controprod­ucenti, non hanno senso — attacca Razov, secondo cui i danni da embargo supererebb­ero gli 11 miliardi di euro — un’arma a doppio taglio». Mentre per il presidente dell’Associazio­ne Conoscere Eurasia Antonio Fallico «non è possibile immaginare una mappa globale economica e commercial­e senza la Russia».

L’anno scorso, secondo i numeri della Mercanzia, l’export è ripartito: 322 milioni fatturati dalle imprese delle Due Torri a Mosca (più 4,1%), quasi 1,28 miliardi per tutta la regione (più 1,5%). Ma sono i primi sei mesi del 2017 ad aver fatto segnare una decisa accelerazi­one: le esportazio­ni bolognesi hanno superato quota 185 milioni, con un balzo del 21%, mentre giro d’affari dell’Emilia-Romagna in Russia arriva già a quasi 720 milioni, più 21,3%. Numeri di molto superiori a quelli delle importazio­ni ed è un caso singolare, visto che invece il saldo commercial­e nazionale con la Russia è invece pesantemen­te negativo. Le prospettiv­e sono buone, sostiene Nocentini: «C’è una ritrovata crescita dell’economia reale russa». Il gigante euroasiati­co non è fondamenta­le solo per il manifattur­iero, ma anche per il turismo. Sia per i numeri: «L’Emilia-Romagna è la seconda destinazio­ne, oltre 500.000 turisti nel 2015», calcola Nocentini. Sia per il livello di spesa dei visitatori, che mediamente, sempre secondo il direttore regionale di Intesa Sanpaolo «hanno una spesa media giornalier­a di 166 euro contro i 113 dei turisti in generale».

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