«Per conquistarci, venite in Russia» La lezione di Razov alle nostre imprese
L’ambasciatore: «Non basta il commercio, servono filiali e stabilimenti». L’export vale 322 milioni
L’export non basta più, le imprese emiliane devono aprire filiali e centri di produzione anche in Russia se vogliono continuare a crescere su quel mercato e su quelli vicini, embargo permettendo. Ne è convinto l’ambasciatore russo Sergey Razov: «Il crollo dell’interscambio è un problema di ieri, ora bisogna guardare alla nuova situazione che si sta creando. E spostarsi dal Made in Italy alla localizzazione della produzione in Russia, per conservare la nicchia italiana nel mercato russo ed espandersi sui Paesi terzi», è la visione che il diplomatico presenta a una platea di imprenditori e attori dell’economia emiliana che ieri mattina si è riunita in Carisbo. L’occasione era il secondo seminario italorusso organizzato dall’associazione Conoscere Eurasia per parlare del futuro delle relazioni commerciali con un Paese che è il nono più «pesante» per l’export bolognese.
E che con le Due Torri ha una relazione di lungo corso, non solo economico, ricorda scherzando Razov: «Non è un caso che mi sia messo una cravatta di questo colore», esordisce alludendo all’indumento di un rosso sgargiante. Altri tempi. Ora il filo rosso che lega Bologna, l’Emilia-Romagna e la Russia è fatto soprattutto di macchinari e tessile, due settori che nel 2016 secondo i dati della Camera di Commercio valevano oltre il 60% del valore ottenuto commerciando con il Paese più esteso al mondo.
Ma per continuare a espandersi su questo mercato bisogna sciogliere due nodi. Il primo, su cui spinge Razov, è la necessità di portare parte della produzione sul posto: passare, insomma, dal «made in» al «made with». Attualmente, le società italiane presenti stabilmente in Russia sono circa 450, secondo i dati del direttore regionale di Intesa Sanpaolo Tito Nocentini. E una su cinque è emiliana. Non tutte, però, hanno delocalizzato la produzione. La Faac, per esempio, ha aperto una filiale commerciale nel 2012 per distribuire i propri prodotti sul territorio.
Il secondo tema d’attualità è quello delle sanzioni, che nel 2015 avevano fatto crollare le relazioni commerciali. «Sono controproducenti, non hanno senso — attacca Razov, secondo cui i danni da embargo supererebbero gli 11 miliardi di euro — un’arma a doppio taglio». Mentre per il presidente dell’Associazione Conoscere Eurasia Antonio Fallico «non è possibile immaginare una mappa globale economica e commerciale senza la Russia».
L’anno scorso, secondo i numeri della Mercanzia, l’export è ripartito: 322 milioni fatturati dalle imprese delle Due Torri a Mosca (più 4,1%), quasi 1,28 miliardi per tutta la regione (più 1,5%). Ma sono i primi sei mesi del 2017 ad aver fatto segnare una decisa accelerazione: le esportazioni bolognesi hanno superato quota 185 milioni, con un balzo del 21%, mentre giro d’affari dell’Emilia-Romagna in Russia arriva già a quasi 720 milioni, più 21,3%. Numeri di molto superiori a quelli delle importazioni ed è un caso singolare, visto che invece il saldo commerciale nazionale con la Russia è invece pesantemente negativo. Le prospettive sono buone, sostiene Nocentini: «C’è una ritrovata crescita dell’economia reale russa». Il gigante euroasiatico non è fondamentale solo per il manifatturiero, ma anche per il turismo. Sia per i numeri: «L’Emilia-Romagna è la seconda destinazione, oltre 500.000 turisti nel 2015», calcola Nocentini. Sia per il livello di spesa dei visitatori, che mediamente, sempre secondo il direttore regionale di Intesa Sanpaolo «hanno una spesa media giornaliera di 166 euro contro i 113 dei turisti in generale».